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Il ministro dell’Interno bengalese: «Isis non c’entra, sono jihadisti locali istruiti e benestanti»

Uno dei membri del commando che ha assaltato il ristorante di Dacca. Il ministro dell’Interno bengalese ha dichiarato che gli attentatori «erano membri del gruppo jihadista bengalese Jumatul Mujahedeen Bangladesh»
Uno dei membri del commando che ha assaltato il ristorante di Dacca. Il ministro dell’Interno bengalese ha dichiarato che gli attentatori «erano membri del gruppo jihadista bengalese Jumatul Mujahedeen Bangladesh»

L’Isis non c’entra: è terrorismo interno, e gli artefici dell’attentato di venerdì sono tutti bengalesi, istruiti e appartenenti a famiglie benestanti. Dalle massime autorità bengalesi, e in particolare dal ministro dell’Interno Asaduzzaman Khan, arriva questa interpretazione, in un qualche modo sorprendente, sugli autori della strage di venerdì. Secondo Khan, infatti, gli attentatori «erano membri del gruppo jihadista bengalese Jumatul Mujahedeen Bangladesh», dichiarato illegale nel paese da più di dieci anni. Sono «tutti istruiti, sono andati
all'università e nessuno di loro ha mai frequentato una madrassa (scuola islamica di alto grado, ndr)», ha spiegato il ministro.

E alla domanda sul perché sarebbero diventati militanti jihadisti, Khan ha risposto: «È diventata una moda». Una interpretazione che forse può apparire semplicistica, che però fa capire il sentimento verso queste frange jihadiste che vige in un Paese dove il 90% della popolazione è di religione islamica.

Ma che cos’è il Jumatul Mujahedeen Bangladesh? Questo gruppo islamista, che in un’altra traslitterazione viene chiamato Jamaat-ul-Mujahideen Bangladesh, fu fondato nel 1998 dallo sceicco Abdur Rahman, un predicatore religioso formatosi nell’Arabia Saudita. Il gruppo si fece notare nel 2001, quando entrò in conflitto con un gruppo comunista nel distretto di Dinajpur, nel nord della nazione.

L’atto più clamoroso avvenne però il 17 agosto del 2005, quando gli appartenenti al Jumatul fecero esplodere circa 500 ordigni artigianali quasi contemporaneamente in circa 300 posti diversi, come “campagna dimostrativa” a favore dell’introduzione della sharia (la legge islamica). Il gruppo continuò anche in seguito la sua campagna terroristica, colpendo polizia, giudici, giornalisti e donne che osavano trasgredire all’obbligo del velo.

“Essere militanti jihadisti è diventata una moda”

Asaduzzaman Khan, ministro degli Interni bengalese 

Secondo i funzionari del governo del Bangladesh, può contare su circa diecimila fra membri veri e propri e simpatizzanti. Il gruppo fu dichiarato illegale nel 2005, e sei dei suoi capi furono arrestati, processati e condannati a morte con l’accusa di avere ucciso due magistrati. La repressione giudiziaria però non riuscì a smantellare l’organizzazione, che continuò a sopravvivere in clandestinità. Il “magazine” ufficiale di Daesh, Dabiq, sostiene che Rahman sia il fondatore del movimento jihadista in Bangladesh.

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