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Italia-Germania, quel fallo non fischiato sul surplus commerciale

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IL MATCH IN ECONOMIA

Italia-Germania, quel fallo non fischiato sul surplus commerciale

Non è solo sui campi da calcio che Germania e Italia si affrontano. Anche senza rivangare conflitti armati, ci sono altre arene dove la tenzone si dipana. Chi vince e chi perde? Non c’è partita, direbbero molti che pensano alla Germania come incontrastato primattore, cuore e motore dell’Europa. Ma, se vogliamo fare un elenco degli scontri e degli incontri sul campo cruciale dell’economia e della finanza, il confronto riserva qualche sorpresa.

Cominciamo dal settore primario, l’agricoltura. La Germania è un Paese più grande e più pianeggiante dell’Italia, ma il valore aggiunto della sua agricoltura è la metà di quello italiano. E il settore non si chiama “primario” senza ragione: ci dà da mangiare ed è lì a ricordarci che primum vivere, deinde philosophari. Magari, scendendo per li rami della produzione agricola, i tedeschi manterranno il primato delle Kartoffel, ma glielo lasciamo volontieri.

Dove invece la primazia tedesca è fuori discussione è nel settore secondario, l’industria. Qui la stazza del manifatturiero della Germania è tre volte quella dell’Italia, che però può esibire, malgrado l’amara cura dimagrante di questi anni, il secondo posto in Europa. Né vale, scendendo in questo caso per li rami dell’industria, il premio di consolazione riguardante l’industria tessile: il relativo valore aggiunto è in Italia tre volte quello dell’industria tessile tedesca.

“La Germania potrebbe spendere i soldi dell’avanzo spingendo la domanda per innalzare il tenore di vita dei tedeschi, ma non lo fa, per paura di rinfocolare l’inflazione”

 

Continuando sui primati tedeschi, ci sono altri campi in cui la Germania vince a man bassa: la crescita e l’occupazione. L’economia tedesca cresce più di quella italiana, anche se questa maggior crescita è dovuta più all’export che alla domanda interna. E, soprattutto, la Germania ha fatto progressi incredibili nel mercato del lavoro, talché il suo tasso di disccupazione è intorno al 4%, contro l’11 e passa nostro. La stessa cosa si ripete con i giovani: Germania batte Italia, per il tasso di disoccupazione giovanile, 7 a 37.

Veniamo a un’altra grande statistica, quella che ci dice se un Paese vive al di sopra dei propri mezzi: la bilancia corrente con l’estero che, se in deficit, indica che il Paese vive al di sopra dei propri mezzi, consuma il grano da semina. Ma sia l’Italia che la Germania registrano un avanzo, non un disavanzo della bilancia: nel 2016, Italia +2,2 (in % del Pil), Germania +8,5. Allora, anche qui la Germania fa meglio dell’Italia? Sì, anzi no.

Se un deficit della bilancia indica che un Paese consuma più delle risorse che produce, un avanzo – se la matematica non è un’opinione – indica che il Paese in questione consuma meno di quel che produce. Il che ha un impatto sugli altri Paesi. La Germania potrebbe spendere i soldi dell’avanzo spingendo la domanda per innalzare il tenore di vita dei tedeschi, ma non lo fa, per paura di rinfocolare l’inflazione. La Commissione Ue, che ha ben presente come una maggiore domanda interna tedesca sia la via maestra per risanare le finanze pubbliche degli altri Paesi, ha messo nero su bianco una procedura, la “Macroeconomic Imbalance Procedure” (Mip) per esortare gli Stati membri a rispettare i limiti della bilancia corrente, da +6 a -6% del Pil). Ma qui la Germania è entrata a gamba tesa (da otto anni non rispetta quel limite, e quest’anno dovrebbe arrivare a +8,5% del Pil) senza che l’arbitro Ue fischiasse il fallo e iniziasse una procedura.

Un’altra interessante “gara' è quella dell'indice di sostenibilità. Il “Rapporto sulla stabilità finanziaria” pubblicato dalla Banca d’Italia (maggio 2016) e basato sul “Fiscal Sustainability Report” della Commissione europea (gennaio 2016), riporta questi indici, calcolati come la variazione del saldo primario necessaria per rispettare il vincolo intertemporale (in pratica, tutte le spese future devono essere eguali alle entrate: niente deficit). Dato che tutte le spese future includono quelle - pesanti - legate all’invecchiamento, è molto difficile rispettare quel vincolo. Ma l’Italia passa l’esame a pieni voti: è l’unico Paese che si potrebbe permettere addirittura di diminuire il saldo primario, mentre la Germania dovrebbe sostanziosamente aumentarlo.

Il combinato disposto di alti contributi sociali e di una crescente età effettiva di pensionamento fa sì che il problema previdenziale sia stato in Italia praticamente risolto. Una conclusione supportata anche da uno studio tedesco dell’Università di Friburgo del dicembre 2013. Questo studio aggiunge al debito pubblico “tradizionale” quello previdenziale, definito come sbilancio fra entrate e uscite dei conti della previdenza pubblica. Questo studio dà all’Italia addirittura un debito previdenziale negativo. Il rapporto debito/Pil italiano si dimezza, quello tedesco raddoppia. Il punteggio finale? È nell’occhio di chi guarda...

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