Londra nuovo “paradiso fiscale”? Fantasie, forse. Ma che cosa accadrebbe se, per limitare il contraccolpo della Brexit, il Regno Unito decidesse di avviare una politica fiscale molto aggressiva, riducendo aliquote, oneri e adempimenti? Con quali strumenti l’Europa potrebbe reagire?
Oggi, 23 giugno 2026, solo pochissimi tra i giornali-mobili hanno scelto di ricordare che giusto dieci anni fa, gli elettori del Regno Unito votavano per uscire dall’Unione europea, ponendo così le basi per il più vasto simil-paradiso fiscale del globo. Ma né i giornalisti né i robo-reporter (che pure dovrebbero avere buona memoria) si sono affannati per celebrare l’anniversario e hanno preferito parlare delle trattative, ormai bene avviate, per la garanzia unica bancaria, oppure della nuova agenda per l’abolizione delle province italiane oppure ancora - nelle testate sportive - dell’inatteso stallo negli incontri per la cessione del Milan, stavolta a una cordata islandese (l’Islanda, d’altra parte, è ormai un paese leader di questo sport).
Chiediamo scusa, abbiamo scherzato. Non su tutto, però. Perché l’ipotesi che la Brexit offra il destro alle autorità del Regno Unito per avviare una politica fiscale aggressiva viene discussa anche in modo molto serio. Lo stesso Wall Street Journal, nell’edizione europea del 30 giugno 2016 (2016, non 2026) spiega che Londra potrebbe usare il suo nuovo status di Paese extraeuropeo come incentivo per le imprese, limitando o addirittura vanificando i contraccolpi negativi di Brexit.
Allora, proviamo a fare un po’ di fanta-fisco. Che cosa potrebbero fare l’Europa e i Paesi Ue se Londra decidesse di passare a una prospettiva di paese aggressivo? Qualcosa, ma non moltissimo. Cadendo i vincoli agli aiuti di Stato, gli exiters avrebbero mano libera nel sostenere interi settori. A questa concorrenza poco leale (se non sleale del tutto) l’Ue potrebbe opporre dazi monetari o ritorsioni di altra natura, come vietare o tassare severamente l’offerta di beni o prodotti finanziari provenienti da oltre Manica.
Ma il contrattacco potrebbe anche avvenire sul fronte sempre lusinghiero delle aliquote: il Regno Unito ha già annunciato la diminuzione delle imposte sulle imprese al 17%. E fino al 12% - se facciamo riferimento alla normativa italiana - ulteriori riduzioni di aliquota non finirebbero nel territorio scomodo dei paradisi fiscali veri e propri. Quello sì può essere un disincentivo per puntare su Londra, vista anche l’offensiva della direttiva Ue di cui riferiamo in queste pagine. Come sarebbero sicuramente disincentivi automatici e di una certa efficacia la perdita di regimi di assoluto favore quali le esenzioni della direttiva madre/ figlia e di quella su interessi e royalties.
Londra, però, potrebbe giocare una carta che già ha funzionato ai tempi della Thatcher e che mantiene intatto, se non aumentato, il suo fascino: la deregulation. Meno vincoli, meno incombenze, meno costi per quotarsi, per negoziare, per commerciare. E se la mettiamo sulla burocrazia...
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