Il recesso britannico non sarà una semplice sottrazione aritmetica al numero totale dei membri della Ue. Si aprono scenari inediti e la differenza sarà non solo quantitativa, ma anche qualitativa. Nel processo di integrazione europea Londra è stata sempre non solo il principale frenatore, ma anche il leader dello schieramento euroscettico. E se nel tempo questo schieramento ha avuto composizioni variabili, con Stati che passavano da un fronte all’altro, la posizione inglese è stata costante, costituendo un punto di riferimento, anche ideologico, per gli altri.
Sono stati per esempio gli inglesi a volere gli allargamenti per diluire l’integrazione e a impedire lo sviluppo di una politica estera e di sicurezza comune. Nel tempo due opposte idee di Europa si sono crescentemente fronteggiate: una che vorrebbe arrivare agli Stati Uniti d’Europa, l’altra che invece vorrebbe ridimensionare la Ue a una super associazione di libero scambio. Lo status quo attuale, una situazione in cui sempre meno i cittadini si riconoscono, è frutto di continui e poco coerenti compromessi fra queste due opposte visioni. Ora il leader degli euroscettici ha annunciato di voler uscire e gli altri Stati Ue cercheranno di relegarlo in una casa così scomoda che scoraggi chiunque altro a raggiungerlo. Non è quindi detto che altri Stati vogliano seguire Londra, ma non è nemmeno detto che, restando, diventino meno euroscettici. Prima o poi, è dunque probabile che ci si debba tornare a porre la questione di fondo sui fini ultimi dell’Unione, promuovendo un’ampia e partecipata riflessione.
Se si arrivasse all’accettazione di due diverse velocità di integrazione, nuovi trattati fondativi potrebbero creare due anelli di integrazione differenziata. In un tale scenario tutti gli Stati membri della Ue - e non solo Londra - dovrebbero uscire dai Trattati attuali per confluire in due diversi trattati, collegati e concentrici: uno federale e uno di super-associazione. Al momento però una simile prospettiva, che evoca l’uscita di altri Stati e che richiederebbe profonde modifiche anche degli attuali Trattati della Ue, è probabilmente l’ultima cosa di cui i Governi vorrebbero parlare.
Ordinario di diritto della Ue
Università di Bologna
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