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Il pericolo del ritorno di un conflitto ideologico

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Il pericolo del ritorno di un conflitto ideologico

Non ho mai visto l'America accasciata su stessa come in questi ultimi due giorni. Il conflitto razziale ha raggiunto apici inimmaginabili, si piangono vittime fra i neri e fra i bianchi senza poter intravedere una soluzione possibile se non quella della rassegnazione.

Gli assassinii di innocenti neri continueranno e le vendette sui bianchi potrebbero aumentare. Anche perché ora siamo davanti al pericolo di una nuova guerra interna, di una resurrezione di movimenti di ribellione che non manifestano pacificamente, ma con le armi.

La svolta di Dallas, la vendetta armata, ci porta al pericolo del ritorno di un conflitto ideologico. Da una parte chi si identifica con le Pantere Nere, attivisti che negli anni 60-70 proponevano reazioni violente all’insolubile problema razziale. Dall’altra chi si identifica con il movimento pacifista ispirato da Martin Luther King. I fatti di Dallas, di Baton Rouge e di Falcon Hights ci riportano a quel conflitto ideologico: un attivista violento che vuole uccidere bianchi a Dallas per vendetta, in mezzo a una dimostrazione assolutamente pacifica per cercare il dialogo in alternativa alla violenza.

Che si sia arrivati è anche un segno dei tempi. Il passaggio da un estremo all’altro di queste ultime ore è stato rapidissimo, anche per l’America. La velocità della comunicazione e delle evoluzioni di una notizia o di una tendenza non consentono di riflettere. Producono reazioni impulsive, spesso in contraddizione. Così abbiamo visto in poche ore un passaggio dal ribrezzo della Nazione per il poliziotto che ha ucciso a sangue freddo a Falcon Hights Philande Castille, guidatore afroamericano innocente, alll’orrore della stessa Nazione per l’omicidio plurimo a Dallas, dove i 5 poliziotti bianchi, a loro volta innocenti, sono stati uccisi da un cecchino afroamericano.

Siamo perciò a un bivio, siamo davanti all’incubo di un doppio fronte: quello aperto e terrificante, di un’influenza esterna e religiosa rappresentato dalll’Isis, e quello interno che potrebbe peggiorare. Di nuovo, gli eventi di Dallas ci hanno dato una fotografia chiara di quello che potrebbe succedere: i poliziotti sapevano che la dimostrazione sarebbe stata pacifica. Non avevano allerte per possibili attacchi terroristici e dunque in una calda serata di estate sono andati al lavoro in maglietta, senza giubbotti antiproiettile o altri equipaggiamenti di protezione. Quando c’è poi stato l’attacco, si è subito pensato al terrorismo di matrice islamica. E le forze dell’ordine hanno cominciato a proteggere la folla e a correre verso l’origine apparente del fuoco per affrontarlo. Gli agenti bianchi in questo caso proteggevano i dimostranti neri. E cinque di loro si sono immolati facendo il loro dovere. Solo dopo lunghissimi minuti hanno capito che l’obiettivo erano loro, i poliziotti bianchi. Ma alla fine di questa due giorni da incubo, il Paese riflette, e capisce che il sangue sparso per le strade di Dallas, per quelle di Baton Rouge o nell’auto fermata a Falcon Hights in Minnesota è solo sangue americano.

Ed è proprio di questo che ha voluto parlare ieri Barack Obama: del sangue americano, delle ferite aperte. Curiamole, perché far finta di nulla non aiuterà nessuno. Michael Eric Dyson, un professore afroamericano di sociologia a Georgetown ci ha dato ieri lo spaccato della paura quotidiana che pervade la vita degli afroamericani: «Se un bianco è perquisito sa di non rischiare la vita. Se la perquisizione riguarda un nero, sa che rischia la morte».

È questa la prima divisione su cui lavorare. Sfida difficile perché invece di migliorare, le cose sono peggiorate con un presidente afroamericano alla Casa Bianca. Obama doveva essere il simbolo stesso dell’emancipazione dei neri negli Stati Uniti d’America. Ieri dagli scritti di Michael Eric Dyson abbiamo capito che i neri intellettuali sono delusi e preoccupati, appunto rassegnati. Ma la speranza deve restare viva. E contro le forze della divisione, della vendetta, della violenza, in ambo le direzioni schieriamo lo spirito di Dallas, che ha visto dimostranti neri e poliziotti fronteggiare un nemico comune. Uno specchio di paura e sgomento, ma anche un simbolo del dialogo possibile.

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