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La città e un’idea tragica dell’America

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da jfk ad american sniper

La città e un’idea tragica dell’America

Il presidente John Fitzgerald Kennedy poco prima di essere ucciso a Dallas, in un filmato restaurato del 22/11/1963
Il presidente John Fitzgerald Kennedy poco prima di essere ucciso a Dallas, in un filmato restaurato del 22/11/1963

Gli europei che non conoscono l’America pensano che salvo New York, Boston e San Francisco, tutte le metropoli americane siano uguali: da Est a Ovest, da Nord a Sud. I grattacieli di downtown, autostrade e sobborghi abitati da gente nata in un posto, andata all’università in un altro, trasferitasi a lavorare in un terzo, in attesa di trovare un salario migliore in un quarto. Ogni città degli Stati Uniti ha invece la sua anima originale costruita su conquiste e tragedie. Quella di Dallas (e del Texas) è fra le più marcate.

Anche se è solo la quinta metropoli del paese, tutto quello che accade a Dallas è al di sopra della media degli eventi e delle emozioni nazionali. Perfino la squadra di football, i Cowboys, è la più amata e detestata d’America: se vince suscita fastidio ma se perde – la scorsa stagione è stata disastrosa – solleva uno stupore preoccupato come se la sua inspiegabile crisi fosse il segno della crisi della nazione.

Lo scontro razziale è forte in ogni città in cui ci siano comunità afro-americane e latine. Mai tuttavia una squadra apparentemente organizzata e motivata di tiratori ha preso di mira la polizia, uccidendo cinque poliziotti e ferendone sette, come se Dallas fosse Falluja. La città ha una certa dimestichezza con le armi e con i cecchini. Chris Kyle, “il Demonio di Ramadi”, 160 iracheni uccisi col suo fucile di precisione, e la cui vita è stata raccontata da Clint Eastwood (“American Sniper”), abitava a Dallas e il suo funerale all’AT&T Stadium, il campo dei Cowboys, fu un evento nazionale.

Ma il cecchino più famoso di Dallas resterà per sempre Lee Harvey Oswald che da una finestra del Texas School Books Depository, in Elm street, il 22 novembre del 1963 sparò a John Kennedy. Nonostante il verdetto della Commissione Warren, forse Oswald non fu il solo a sparare. L’omicidio fu probabilmente un complotto molto articolato. Ancora oggi, 53 anni dopo, la morte del presidente è la tragedia e il mistero più grande dell’America contemporanea. E più di ogni altra cosa ha definito l’immagine di Dallas.

Qualsiasi cosa sia veramente nella sua quotidianità, nella narrativa americana Dallas è la città nella quale finì Camelot, un sogno politico. E per molti americani non fu Oswald, la mafia o i cubani a uccidere Kennedy: fu Dallas con il suo conservatorismo, distruggendo una visione liberal e moderna dell’America. Passano gli anni ma ogni volta che se ne pronuncia il nome, Dallas resta una ferita profonda nella memoria americana.

Ala fine fu un conservatore texano, anche se nato a Stonewall in mezzo alla prateria, a completare l’eredità di John Kennedy. Nel 1964 Lindon Johnson fece passare il Civil Rights Act, riuscendo a superare l’ostruzionismo del Congresso che lui conosceva bene, avendo lavorato per decenni in quei corridoi del potere. L’anno successivo seguì la definizione della “Great Society” americana. Nonostante questo, Dallas e il Texas restano sinonimi di conservazione e di società chiusa anche se non sempre lo sono. Gli incredibili eventi di ieri in qualche modo confermano nel sentire comune di molti americani l’idea che Dallas sia una città straordinaria ma in senso negativo.

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