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Giappone: alle elezioni in gioco la riforma costituzionale

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elezioni politiche

Giappone: alle elezioni in gioco la riforma costituzionale

Shinzo Abe  (Epa)
Shinzo Abe (Epa)

Si profila il minimo storico di votanti, sotto il 50%, nelle elezioni di domani in Giappone per il rinnovo di metà della Camera Alta, che alcuni definiscono le più importanti da decenni: la campagna elettorale è stata piuttosto apatica e la maggioranza dei giapponesi non sembra rendersi conto che la posta in gioco è nientemeno che il cambiamento della Costituzione ed in particolare della sua clausola ultrapacifista (articolo 9).

Il terzo appuntamento elettorale degli ultimi quattro anni, secondo gli ultimi sondaggi, potrebbe dare al premier Shinzo Abe il destro per passare alla storia come il promotore della revisione costituzionale: la coalizione di governo, più un paio di partitini favorevoli, potrebbe conquistare 78 dei 121 seggi in palio, conquistando quindi i due terzi dei seggi della Camera Alta necessari per la riforma (da sottoporre poi a referendum).

Giappone: alle elezioni in gioco la Costituzione

A parte l’astensionismo, il miglior alleato di Abe appare una certa mirata disinformazione: il suo team ha messo la sordina al controverso tema costituzionale e il vicepresidente del partito Masahiko Komura è arrivato a dichiarare in un programma tv che ci sono zero possibilità di una revisione dell’articolo 9. Cosa non credibile. Altro esempio: mentre tutte le aziende hanno già dichiarato i risultati dell’anno fiscale a tutto marzo, il fondo pensione pubblico (Gpif) ha rinviato la comunicazione a dopo le elezioni, per non ufficializzare di aver perso qualcosa come 50 miliardi di dollari in un solo anno dopo il cambiamento dell’asset allocation (voluta dal governo) verso una forte esposizione ad asset di rischio (100 miliardi di dollari la perdita stimata negli ultimi 15 mesi): ce ne sarebbe abbastanza per allarmare un popolo di pensionati (26,7% oltre i 65 anni) e mettere in discussione i risultati dell’Abenomics.

Come aveva fatto nelle elezioni del 2013 e 2014, Abe parla soprattutto di economia per poi perseguire una chiara agenda politica (prima la legge sui segreti di Stato, poi leggi sulla Difesa collettiva nel 2014). Il gioco può riuscirgli una terza volta. Si focalizza sul chiedere più tempo per l’Abenomics e invoca i vantaggi della stabilità politica: congiuntura debole e venti di ritorno della deflazione sarebbero colpa di fattori esterni come il rallentamento cinese e, da ultimo, la Brexit che ha rafforzato lo yen. Si presenta come l’uomo che ha rinviato per la seconda volta l’aumento dell’Iva (previsto da un accordo bipartisan del 2011, con cui il Partito Democratico si suicidò politicamente) e capitalizza sulla recente leadership del G-7 e sulla prima visita di un presidente Usa a Hiroshima. Promette nuovi stimoli fiscali con una maggiore attenzione al welfare e vanta l’irrigidimento del mercato del lavoro (in cui però crescono solo i contratti temporanei). Così mantiene il vento in poppa a dispetto di una diffusa percezione della scarsa efficacia delle politiche economiche da lui promosse.

Ad ogni buon conto, il manifesto elettorale del suo partito non cita più la Banca del Giappone, diventata impopolare dopo l’introduzione di tassi negativi nel sistema e la cui credibilità si è appannata tra continue revisioni al ribasso delle sue stime su economia e raggiungimento del target di inflazione.

I principali partiti di opposizione restano deboli e dispersi: sono riusciti però a concordare candidati unici nei soli collegi uninominali. Non farà differenza la concessione del voto ai diciottenni, 40 anni dopo l’Italia: di 2,4 milioni di individui tra 18 e 20 anni, dovrebbero votare in meno di un milione.

L’Ldp di Abe sembra quindi vicino a conquistare da solo la maggioranza assoluta dei seggi della Camera Alta. L’eventuale avvio della revisione costituzionale è destinato a suscitare tensioni politiche all’interno e all’estero, specie presso Cina e Corea. Sembrerebbe più che normale che, dopo 70 anni, un Paese cambi una carta fondamentale nata sotto occupazione militare straniera. L’art.9 (che proibisce la stessa esistenza di forze armate) è del resto gia’ stato svuotato: oggi,ad esempio, Tokyo ha una Marina più grande di quella britannica. «Ma molti vedono nell’articolo 9 un potere residuale simbolico importantissimo, in quanto manifesta i sentimenti pacifisti come norma collettiva», afferma Jeff Kingston, direttore degli Asian Studies alla Temple University: sarebbe dunque un saldo presidio al possibile ritorno dell’autoritarismo o di avventure belliche. E la bozza di revisione rivelata dall’Ldp, secondo molti osservatori, tende a esaltare il ruolo dello Stato, enfatizzando più i doveri che i diritti dei cittadini.

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