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Ma anche Wall Street faccia ora la sua parte

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L'Analisi|il commento

Ma anche Wall Street faccia ora la sua parte

La facilità con cui alcuni banchieri chiedono denaro pubblico è problematica»: a chi si riferiva il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem? Certamente non all’Italia, unico Paese Ue in cui le banche hanno pagato di tasca propria il peso della crisi.

Il fatto che il governo italiano abbia chiesto ora alla Commissione l’autorizzazione a effettuare interventi straordinari per risolvere le crisi bancarie più acute - dal Monte dei Paschi di Siena alle banche più cariche di crediti inesigibili in bilancio(i cosiddetti Npl, o non performing loans) - non giustificherebbe infatti il sarcasmo del leader europeo nei nostri confronti. Nel periodo più difficile ed incerto per i mercati e ancora oggi dopo 8 anni di crisi economica e finanziaria, infatti, il sistema bancario italiano è stato chiamato (o lo ha scelto liberamente) a sostenere ogni tipo di intervento di garanzia per la sicurezza del risparmio e per la fiducia dei correntisti, assumedo un ruolo che storicamente è sempre stato dei governi. Se poi aggiungiamo il gettito fiscale garantito allo Stato dalle banche, le operazioni straordinarie a favore dei prestiti alle imprese e alle famiglie colpite dalla crisi economica e finanziaria (finora 19 miliardi), diventa difficile pensare di ottenere altri interventi a loro carico senza il rischio di danneggiare gravemente il loro equilibrio finanziario. Il carico che è stato posto sulle spalle del sistema è infatti già enorme: tra le banche italiane e le tre banche commerciali straniere registrate come società di diritto italiano (Deutsche Bank Italia, Credit Agricole e Bnl-Bnp, il sistema privato del credito finanzia ben 5 fondi di settore. Eccoli: il fondo straordinario per le banche in dissesto a fine 2015; il fondo “volontario” per le future banche in crisi (4 piccoli istituti sono già in predicato); il fondo di tutela con cui saranno risarciti gli obbligazionisti truffati di Banca Etruria; il fondo interbancario di tutela dei depositi; il fondo Atlante per le ricapitalizzazioni a rischio e per l’acquisto degli Npl. Si tratta di miliardi di euro divisi pro-quota: chiedere altre risorse in una fase di alta tensione e di incertezza come quella attuale è come giocare alla roulette russa. Oltre al danno alle banche sane e ai loro soci, si rischia anche di innervosire ulteriormente il mercato finanziario.

Se l’Europa darà il via libera al governo italiano, il quadro complessivo migliorerà sicuramente. Ma in caso contrario, il problema di trovare altri finanziamenti per Atlante e per gli Npl resta tutto sul tavolo: i 4,5 miliardi di dotazione iniziale del fondo sono stati quasi esauriti per le due banche venete, e ben poco è rimasto per altre emergenze, a cominciare dalle sofferenze del Montepaschi. Chi metterà allora il denaro sullo scudo di Atlante? Un’idea comincia a circolare. Il primo a lanciarla è stato il presidente delle Fondazioni, Giuseppe Guzzetti: «Siamo non solo contrari alla presenza dello Stato nelle banche - ha spiegato in più occasioni - ma anche al fatto di scaricare sulle fondazioni altri oneri e costi insostenibili». Per il presidente delle Fondazioni bancarie, piuttosto, sarebbe ora di far aprire il portafoglio alle grandi banche di Wall Street, che come è noto esercitano anche in Italia un controllo oligopolistico sul mercato della corporate finance e dell’investment banking. Colossi come JP Morgan, Goldman Sachs, Morgan Stanley, Citigroup e Merrill Llynch si aggiudicano tutte le operazioni più importanti del mercato finanziario italiano, dall’advisory sulle fusioni alle emissioni obbligazionarie, dalle Ipo alla finanza d’impresa: alle americane, si aggiungono soltanto tre big europei del capital market, Deutsche Bank, Ubs e Credit Suisse. Questa pattuglia di big della finanza speculativa mondiale ha incassato in Italia solo negli ultimi 8 anni (di crisi) commissioni per più di 10 miliardi di euro dalle banche e dalle imprese clienti, sia pubbliche che private. Solo l’anno scorso, banche e imprese italiane hanno pagato commssioni per oltre un miliardo di euro, di cui circa 600 milioni da aziende controllate dallo Stato: a queste cifre, andrebbe poi aggiunto il conto delle operazioni in derivati . Nessuno può costringerle ad aiutare un sistema paese da cui incassano miliardi. Ma pensare che proprio le stesse banche di Wall Street hanno pagato senza battere ciglio 230 miliardi di dollari in sanzioni per reati finanziari, crea un certo disagio: un investimento su Atlante, potrebbe generare in futuro non solo profitti di rilievo, ma anche un’immagine migliore.

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