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Isole contese, Pechino perde la battaglia legale con Manila

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le mire del dragone

Isole contese, Pechino perde la battaglia legale con Manila

  • – di Rita Fatiguso
(Ap)
(Ap)

La decisione, puntuale, della Corte permanente di arbitrato dell’Aja è arrivata spaccando il minuto. Anche il tenore della pronuncia dei giudici chiamati dalle Filippine a esaminare la lite che oppone Manila a Pechino sulle isole Spratly nel Mar della Cina Meridionale è quanto ci si poteva aspettare. Il tribunale ha dato torto alla Cina, sia nel merito (non ha basi legali alla pretesa reclamata in base alla quale quell’area è della Cina da almeno duemila anni) sia nel modo (ha violato i diritti di pesca dei filippini e, soprattutto, costruito indebitamente isole artificiali che hanno distrutto l’ecosistema della barriera corallina) con il quale ha gestito la sua presenza nell’area.

Ciò che manca, in questa pronuncia lunga 11 pagine, è una chiara presa di posizione sul futuro dell’area stessa oggetto della contesa. A leggere l’ultimo paragrafo c’è un generico invito alle parti ad adottare comportamenti più idonei e rispettosi per il futuro. Quasi un tentativo finale della Corte di fugare dubbi sull’imparzialità nei confronti dei due contendenti. Ma anche un tentativo di disinnescare reazioni a catena, di smorzare il conflitto.

Come dire, adesso cercate di rimediare ai danni fatti. Ma per la Cina il solo fatto di sentirsi dire di non avere una base storica o altro titolo su quelle isole è bastato a innescare una reazione durissima e un’irritazione crescente, man mano che altri Paesi, dalle trionfanti Filippine, al Giappone, al Vietnam si accodavano ai peana e alle manifestazioni di giubilo, affermato di voler riconoscere il verdetto dell’Aja. Tutti, ad eccezione di Taiwan, che a sua volta occupa le isole Itu Aba e, quindi, ha una posizione analoga a quella di Pechino. Mentre Washington ha chiesto che entrambe le parti rispettino la decisione della corte.

Intanto, per bocca del ministero degli Esteri, la Cina ha detto di non riconoscere il verdetto (d’altronde ha boicottato il processo, sin dall’inizio, ed è stata “bacchettata” per questo dai giudici dell’Aja) e di voler invece difendere fermamente la sua sovranità. L’Agenzia Nuova Cina ha rivelato che appena prima del verdetto un aereo civile ha condotto operazioni su due dei nuovi scali costruiti nelle isole Spratly, proprio quelle oggetto della contesa. Mentre il ministero della Difesa ha annunciato il varo, nella base navale di Hainan che sovrintende al Mar Cinese Meridionale, di un nuovo cacciatorpediniere lanciamissili.

Ad onta del materiale bellico esibito il 3 settembre scorso nella parata di piazza Tiananmen per le celebrazioni della fine della seconda guerra mondiale a detta degli esperti è proprio nella difesa navale che la Cina ha investito e sta investendo di più, anche per colmare un gap pluridecennale che le ha fatto perdere posizioni proprio dove adesso sta più puntando i piedi. Come sempre in questi casi, ai toni belligeranti degli Esteri e della Difesa si è affiancato l’intervento conciliante del presidente Xi Jinping che da qualche mese è anche Capo supremo in campo delle operazioni militari, il quale ha dichiarato che la Cina non vuol affatto creare problemi e conflitti nell’area, tantomeno con gli Stati Uniti. Sta tutto nei riti e nel gioco delle parti, scatenare i portavoce dei ministeri e controbilanciare le stesse dichiarazioni con ben altri modi e toni. Per la Cina, intanto, quello che passa per le Spratly resta un punto chiave, la porta di accesso verso tutti gli altri mari, un ponte preziosissimo verso il Pacifico, l’Oceano indiano. Un crocevia di traffici commerciali con ben 5 miliardi di dollari via nave che ogni anno passano da lì, sopra fondali ricchi di giacimenti di gas che rappresentano un’ulteriore attrattiva, nonostante i problemi legati alla salvaguardia dell’ecosistema marino.

Ma, in fondo, la disputa su queste isole riflette la tendenza cinese - che continuerà nei prossimi anni - ad allargare il raggio di azione marino in un raggio di almeno 3.500 mila chilometri quadrati. Ovvio che le manovre militari americane nell’area rese possibili dai legami degli Usa con molti dei Paesi che oggi chiedono alla Cina di accettare il verdetto vengano digerite a fatica da Pechino. Come si è detto, non esiste enforcement per questa pronuncia, non c’è alcun vincolo che i giudici possano mettere nero su bianco, ma questa mossa che vede le Filippine vincenti potrebbe essere seguita anche da Taiwan, Vietnam, Malesia e Brunei che, pure, vantano simili pretese. Di più. Lo scenario più probabile potrebbe essere quello del mantenimento dello status quo, con la possibilità di continuare, un poco alla volta, a costruire pezzo dopo pezzo, altri scali e altre basi di atterraggio, altre isole artificiali.

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