Mondo

E ora la Ue deve pretendere chiarezza e scelte rapide

  • Abbonati
  • Accedi
L'Analisi|L’ANALISI

E ora la Ue deve pretendere chiarezza e scelte rapide

«E detto tutto questo, cari colleghi, che posso aggiungere? Sono stato il futuro, un tempo». Un tocco di classe apparso sulle labbra sottili di David Cameron alla Camera dei Comuni ha messo fine alla spettacolare sceneggiata della vita politica britannica innescata da Brexit.

Credere che la storia finisca qui, con la tribolata sostituzione di un premier pro-Remain con una premier pro-Remain un poco meno entusiasta è, tuttavia, un abbaglio da evitare. Ieri s’è chiusa solo per la Gran Bretagna la fase più immediata e più acuta del divorzio anglo-europeo: nel resto dell’Unione l’emergenza continua, innescata dall’incertezza generata dal gran rifiuto di Londra. E con Theresa May, da ieri nuovo primo ministro, rischia di protrarsi molto oltre il lecito.

Gli interessi del Regno Unito e quelli dei Ventisette sono speculari una volta di più, non solo negli obbiettivi, ma anche nei tempi. Downing Street e Westminster cercheranno di rallentare il più possibile l’attivazione dell’articolo 50 che sancisce – entro due anni - il recesso dalla Ue, tenteranno di avviare trattative off the records con le capitali europee per dividere un fronte che, invece, è imperativo resti unito e compatto, per incalzare la Gran Bretagna e indurla a scegliere. E a scegliere presto. I primi segnali sono pessimi. La nuova premier ha già fatto sapere che non intende attivare la procedura di separazione prima del 2017, mentre la stampa popolare immagina sei anni di negoziati. L’Unione non può permettersi tanta incertezza per tanto tempo, come le cronache di questi giorni dai mercati hanno indicato con evidente chiarezza.

Anche perché il dilemma sarà pure amletico, ma non è affatto complesso nella sua banale evidenza. La “scelta” dinnanzi a Londra è sempre la stessa. Il punto politico del contenzioso è e resta la partecipazione britannica al mercato interno dell’Unione. La Gran Bretagna insisterà per avere accesso alla libera circolazione di beni e servizi, auto-escludendosi dalla libera circolazione dei lavoratori. In altre parole vorrà esporre il single market al cosiddetto “cherry picking”, immaginifica espressione anglosassone che significa cogliere dall’albero le ciliegie migliori, lasciando quelle meno dolci ai clienti successivi. Ci prova da anni, in nome di una sua specificità che in parte esiste e che le era stata riconosciuta con il compromesso di febbraio in sede Ue. Ci riferiamo al negoziato portato avanti da David Cameron e concluso con ritocchi non radicali, ma significativi, al patto fra Londra e Bruxelles poi bocciato dal referendum. Quelle condizioni – limite estremo della flessibilità a favore del partner riluttante - non sono più sul tavolo perchè Londra ha scelto di uscire dalla Ue.

La storia torna dunque al bivio del passato: il Regno di Elisabetta deve optare o per il mercato interno nella sua interezza, adeguandosi al cosiddetto modello norvegese, oppure affidarsi alle opportunità e alle insidie di una vita in solitario. Quello che non è accettabile sono nuove sfumature di grigio - come la cosiddetta “Norvegia più” tanto sussurrata in queste ore - modulazione estenuante delle relazioni con Londra tesa solo a difendere il single market per i servizi finanziari. A cominciare dal “passaporto”, l’àncora che ormeggia le banche internazionali alla City.

L’esigenza di tempi brevissimi e di accettazione, o rifiuto, del mercato interno (tutto) è stata bene rappresentata dal cancelliere Angela Merkel. Aggirando le regole del cerimoniale s’è rivolta a Theresa May incoraggiandola a dare «certezze» sulla posizione britannica, e a farlo con rapidità. L’Unione europea crediamo debba allinearsi a questa ragionevole linea della fermezza per ragioni strategiche – la sua stessa credibilità – e tattiche, non avendo Londra più carte per forzare la mano dei partner.

Le relazioni di buon vicinato sono obbiettivo sia per chi sta al di qua sia per chi sta al di là della Manica, ma Theresa May nell’entrare a Downing Street deve sapere che i tempi non potranno essere nè biblici né, semplicemente, lunghi. E che il premio sul tavolo è uno solo: sì o no al mercato unico, che significa libera circolazione di beni, di servizi e - se non fosse chiaro - di lavoratori.

© Riproduzione riservata