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Una paura che sopravviverà alla sconfitta del Califfato

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L'Analisi|L’ANALISI

Una paura che sopravviverà alla sconfitta del Califfato

Come nasce la strategia della paura? Se la follia e il disagio di un camionista tunisino possono rappresentare l’eccezione, l’emergenza anti-terrorismo è la regola. Con questa situazione angosciante e con il jihadismo avremo a che fare a lungo, anche dopo la sconfitta del Califfato. Il terrorismo contemporaneo corre su due binari della storia che talvolta si incrociano e in altri casi corrono paralleli: uno non esclude l’altro ma determina la complessità della lotta al terrore che è un conflitto esterno e interno alle nostre società e allo stesso universo islamico, polverizzato e diviso.

Da una parte nel mondo musulmano sono in corso da anni guerre vere con centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi, dalla Siria all’Iraq, dallo Yemen alla Libia, dall’Afghanistan al cuore dell’Africa: interi Stati sono in corso di disgregazione e interi popoli in movimento. In questi conflitti l’Occidente e i suoi alleati regionali sono immersi fino al collo con alcune tappe fondamentali nel corso degli ultimi tre decenni: dalla guerra in Afghanistan negli anni’80 dei mujaheddin, fomentata per combattere l’Armata Rossa sovietica, all’invasione americana dell’Iraq nel 2003, alla guerra di Siria del 2011, trasformata rapidamente in una guerra per procura per abbattere Assad e mettere alle corde l’Iran. Solo adesso Stati Uniti e Russia sembrano decisi a collaborare per mettere fine dall’Isis.

La guerra in Siria è stato il magnete che ha scatenato il nuovo jihadismo, calamitando combattenti sia dal mondo musulmano che dall’Occidente, così come quella in Iraq attirò al-Qaeda, che non solo sopravvisse alla guerra seguita agli attentati dell’11 settembre 2001 ma ha fatto nuovi proseliti sostenendo la concorrenza del Califfato. Al-Nusra, filiale qaedista in Siria non solo compete con l’Isis ma ha i suoi sponsor in Paesi come Turchia e Arabia Saudita: gli stessi americani finora hanno esitato a colpirla per usarla in chiave anti-Assad e anti-Iran. Si capisce bene a che punto siamo arrivati nelle contorsioni della politica estera occidentale.

Dall’altra, in Occidente, in particolare in Francia, si sta verificando - come la chiama lo studioso Olivier Roy - una sorta di rivolta nichilista. Lo Stato islamico, nonostante abbia avuto l’apporto di 1.500 combattenti, oggi non ha neppure bisogno di mandare i militanti della sua legione straniera in Francia per compiere attentati. Il Califfato attinge a un grande bacino di giovani radicalizzati che a prescindere dalla situazione in Medio Oriente sono già in cerca di una causa, di un’etichetta, di una grande narrazione su cui apporre la firma sanguinaria della loro rivolta personale. Per questo l’eventuale distruzione dell’Isis non basterà a fermare il terrorismo.

È questa la strategia della paura su cui punta il terrore. Il rapporto con l’Isis è a volte assai labile, mantenuto attraverso i siti web e non ha neppure bisogno di un imam o compagni d’avventura: così nascono i “lupi solitari”, individualisti tenuti insieme dal filo di un Islam di rottura che disdegna l’integrazione. Il killer di Nizza viene descritto come uomo violento con precedenti penali ma senza legami provati con organizzazioni terroristiche. Forse era solo un teppista che ha trovato nell’azione jihadista una giustificazione ai suoi fallimenti. Fallimenti che non devono oscurare quelli della società francese e di un Medio Oriente dove quotidianamente il terrore miete vittime, presto dimenticate, di guerre incancrenite che legittimano ogni violenza. Anche noi contribuiamo a costruire, alle porte di casa, la strategia della paura che ci vuole divorare.

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