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I militari in cerca della svolta «laica»

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L'Analisi|L’ANALISI

I militari in cerca della svolta «laica»

I militari turchi tornano nelle strade con i carri armati per la quarta volta negli ultimi 55 anni per garantire la stabilità e soprattutto la laicità dello Stato salvaguardando la Costituzione voluta da Kemal Ataturk che Recep Tayyp Erdogan puntava a stravolgere completamente trasformando la Turchia in uno Stato islamico retto dai principi della sharia. Gli obiettivi dei golpisti, che non è chiaro quale percentuale delle forze armate rappresentino, si evincono dalle dichiarazioni del “Concilio di pace”, l’organismo costituito dai golpisti, che ha accusato il governo Erdogan di «aver eroso le basi democratiche e secolari del Paese».

Le poche informazioni a disposizione non sono sufficienti a comprendere se il golpe avrà successo ma è chiaro che l’obiettivo di assumere il controllo delle forze armate perseguito negli ultimi anni dal partito islamista Akp guidato da Erdogan, e legato ideologicamente alla Fratellanza Musulmana, è fallito. Neppure il ricambio dei vertici militari imposto anni fa dall’incarcerazione di molti generali con l’accusa di tentato golpe sembra aver consentito a Erdogan di controllare le forze armate. Il presidente le ha infatti sempre guardate con sospetto limitandone il ruolo nella crisi degli ultimi anni, dal conflitto siriano alla repressione della dissidenza interna, preferendo impiegare le forze di polizia e i servizi segreti posti ormai da tempo sotto il controllo di uomini fedelissimi ad Erdogan.

Non è un caso che le prime operazioni attuate dai golpisti in tutte le città dove hanno schierato truppe e mezzi fuori dalle caserme abbiano visto il disarmo dei poliziotti e l’attacco, a quanto pare anche con aerei ed elicotteri, alle sedi dei servizi segreti, esecutori delle ambigue trame che hanno visto negli ultimi anni la Turchia sostenere con armi e aiuti di ogni genere i movimenti jihadisti attivi in Siria, dalle milizie Salafite e dei Fratelli Musulmani a quelle qaediste del Fronte al- Nusra allo Stato Islamico. Ambiguità mai digerite dai vertici militari che temevano la progressiva destabilizzazione del Paese e la recrudescenza del conflitto con i curdi del Pkk, timori espressi in conversazioni non ufficiali da molti ufficiali turchi presenti nei comandi Nato fin dal 2011.

Non è un caso che in uno dei primi proclami i militari golpisti abbiano voluto rassicurare che la Turchia terrà fede alle alleanze di cui è membro e agli accordi internazionali che ha firmato: un tentativo di offrire garanzie all’Alleanza Atlantica, agli Stati Uniti ma anche alla Russia. Mosca ha bisogno di garanzie che restino aperti gli stretti del Bosforo di cui la Turchia è garante in base alla Convenzione di Montreux e indispensabili al passaggio delle navi russe dirette nel Mediterraneo e nell’Oceano Indiano. Inoltre le tensioni determinate dall’intervento di Mosca in Siria e dall’abbattimento lungo il confine turco di un Sukhoi 24 russo hanno contribuito probabilmente a indurre i militari a rompere gli indugi valutando come il governo dell’Akp avesse ormai compromesso la sicurezza interna e i rapporti con tutti gli Stati confinanti, nonostante il recente riavvicinamento con Israele e Russia.

“Il crollo del governo turco rappresenterebbe uno smacco per il Qatar, grande alleato di Erdogan, sponsor della Fratellanza Musulmana e rivale regionale dell’Arabia Saudita”

 

Se il golpe dovesse avere successo la Turchia diverrebbe il secondo Stato, dopo l’Egitto, in cui un governo islamista legato alla Fratellanza Musulmana viene rovesciato dalle forze armate che anche al Cairo hanno sempre rappresentato il baluardo della laicità dello Stato contro derive islamiste. Il crollo del governo turco rappresenterebbe uno smacco per il Qatar, grande alleato di Erdogan, sponsor della Fratellanza Musulmana e rivale regionale dell’Arabia Saudita. Il governo Erdogan tuttavia gode di consensi popolari che appaiono più ampi di quelli di Mohammed Morsi in Egitto ed il golpe potrebbe risultare molto sanguinoso e richiedere l’uso massiccio della forza determinando un alto rischio di far deflagrare quella guerra civile che l’intervento dei militari voleva scongiurare.

Solo nelle prossime ore si potrà comprendere se la Turchia volta pagina tornando ad essere un interlocutore credibile e un elemento di stabilità per l’Europa tra il Mediterraneo e il Medio Oriente o se invece sprofonderà nel caos accentuando così la destabilizzazione già in atto nell’intera regione.

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