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Nizza, divisa anche senza filo spinato

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Nizza, divisa anche senza filo spinato

LaPresse
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«La schifezza del mondo andava più velocemente di noi, potevamo dimenticarla, negarla, ma tanto ci avrebbe raggiunti lo stesso».

Jean Claude Izzo, un misto sangue metà marsigliese e metà napoletano, le banlieue affacciate su questo pezzo di Mediterraneo le conosceva meglio di se stesso. In pochi lo ricordano, ma lui, nella sua trilogia marsigliese, aveva previsto tutto. Libera nos a malo, liberaci dal male è la preghiera collettiva che leggi negli sguardi dei nizzardi camminando lungo i vicoli intricati che sbucano sulla Promenade des Anglais.

I francesi e i turisti ostentano normalità, ma il catanese Fabio Denaro, proprietario di uno dei locali italiani che occupano ogni metro utile di Rue Halévy, all’angolo con Rue Commandant Raffali, racconta l’inferno di cui è stato testimone oculare mentre il Tir bianco trasformava in una camera mortuaria l’asfalto liscio come un biliardo di Promenade des Anglais: «Correvano tutti come se fossero inseguiti dai tori: sono entrati a centinaia nel mio ristorante, moltissimi accucciandosi in cucina, in cantina, ovunque ci fosse la sensazione che fosse un luogo sicuro».

La stessa cosa è accaduta al Dolce caffè, al Porto di Venere, alla brasserie Lorraine. Libera nos a malo sembrano le uniche parole capaci di arginare la marea montante di odio. Importa poco che il terrorista fosse un lupo solitario o parte di un’organizzazione. Di sicuro la grammatica del dolore, seminato in un momento di spensieratezza collettiva, doveva averla sperimentata nelle sue pieghe più intime per infliggerla con questo furore.

Liberaci dal male unisce tutti: turisti fricchettoni con i jeans lacerati e compassati gentiluomini piemontesi e lombardi che qui hanno casa da trent’anni; l’italianità di Nizza (italiana prima, meta di emigrazione poi, e infine residenza oltreconfine di benestanti signori di mezza età) rende questo dolore italiano in egual misura. Izzo, morto nel 2000 all’età di 55 anni, amplificò il suo formidabile fiuto di vecchio cronista ascoltando il risentimento degli esclusi.

Non c’è bisogno del filo spinato per la segregazione: appena fuori Ariane, il quartiere ghetto dov’è vissuto Mohamed, i cartelli impongono agli automobilisti di viaggiare con le portiere blindate. Un messaggio esplicito, che ricalca un atteggiamento speculare a quello che i maghrebini nutrono per gli occidentali: noi e loro.

Izzo non fu l’unico a profetizzare la rivolta contro l’Occidente. Lo psichiatra e filosofo martinicano Frantz Fanon, sull’onda della rivolta algerina, si autoproclamò con i suoi Dannati della terra angelo vendicatore di un’apocalisse dell’odio contro gli oppressori. Nella parola di Fanon non c’era il fermento religioso, non c’entrava alcun Dio in nome del quale uccidere. C’era l’odio degli ultimi verso chi li dominava. Anche i giovani maghrebini che fanno strage sulla Promenade des Anglais o al Bataclan sono spinti dallo stesso odio. Ma non sono i Dannati della terra, descritti da Fanon. Sono altro. Forse semplici disadattati perduti nelle periferie metropolitane: fanatici che uccidono in nome del loro Dio, che è Allah, ma anche in nome di una diversità esibita fino all’estremo sacrificio.

I francesi e gli italiani che a Nizza sono di casa osservano ipnotizzati le immagini televisive di quel Tir bianco che semina morte. Donata Giarretta, milanese con casa da vent’anni in Place Garibaldi, nel cuore della Nizza antica (e italiana), a cinque minuti dalla fine dei fuochi d’artificio ha sentito un brivido lungo la schiena che l’ha spinta a rientrare a casa. Un presentimento? «C’era vento e minacciava pioggia, ho preferito andarmene», racconta.

Mezz’ora dopo, in tv, ha rivisto il luogo che aveva appena lasciato lastricato di sacchi azzurri pieni di cadaveri. Ora al posto di quei morti ci sono aiuole ricolme di fiori e bigliettini. Quello rivolto ai bambini è il più commovente. «Guardavate in alto (per i fuochi d’artificio) e siete finiti in cielo». La strage dei cuccioli e degli adolescenti è uno dei capitoli di questa tragedia più difficile da accettare: dieci morti, 54 feriti, una quarantina riuniti nella caserma Auvare di rue Roquebilliere (ma poi la notizia verrà smentita dalla polizia).

Un bambino coreano sfuggito alla polizia che vagava da solo sul lungomare è stato raccolto da una coppia di francesi e riaccompagnato l’indomani dai genitori. Il 14 luglio in Francia è la festa di tutti, bambini compresi. Mohamed il “gelataio”, padre di tre figli e di una moglie decisa a lasciarlo, ha pianificato scientemente questa strage di innocenti. A rue Halévy, a ventiquatt’ore dalla strage, i vicoli sono pieni di turisti che quasi si spintonano per accaparrarsi un tavolo nei ristoranti. The show must go on ma è una finta allegria, quasi un artificio per rimuovere almeno temporaneamente il terrore che si è insinuato in chiunque metta piede in quella che fu la dolce Nizza.