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la strage

Nizza, viaggio nella palazzina di Route de Turin dove abitava l’attentatore

Quattro carrozzine e una bicicletta. Come quella che lui portava ogni sera su, in casa. Quella che ha usato per raggiungere il camion della strage la notte del 14 luglio. Sono nascosti in una palazzina bassa di Route de Turin, 62 i segreti di Muhamad Bouhlel. Dietro quella porta color crema al primo piano, ora forzata dalle forze dell'ordine, dove abitava da meno di due anni. Da quando aveva lasciato la casa a nord della città dove viveva con l'ex moglie e i tre figli. È qui che il trentunenne tunisino, “scontroso, silenzioso e per nulla religioso”, a quanto lo descrivono i vicini, si sarebbe assai “velocemente radicalizzato” , dice ora il ministro dell'Interno Bernard Cazeneuve.

Nizza, i luoghi della ex moglie di Mohamad Bouhlel

Dai primi controlli su pc e telefoni, non risulterebbero elementi espliciti della sua affiliazione al Califfato. Tuttavia, ci sarebbero dei contatti in comune col più famoso dei foreign fighters di Nizza, Omar Diaby. Il punto di riferimento delle centinaia di combattenti partiti negli anni dalla Costa Azzurra verso le trincee di Daesh.

Gli appelli del Califfato, che ora rivendica come “opera di un suo soldato” la strage di Nizza, si erano insinuati negli ostinati silenzi di Bouhlel, violento con la moglie e ultimamente sempre più depresso, a quanto racconta chi lo conosceva? È quello che l'inchiesta sta cercando di ricostruire: cinque persone sono state fermate, compresa l'ex moglie. “C'est pas humain”, “Non è umano” scrive su un foglietto Ahmed, al piano terra del suo palazzo. Davanti a lui, Yasmine, 34 anni franco-marocchina, descrive ai cronisti e ripete a se stessa il profilo dell'uomo ora più odiato di Francia: “senza barba, sempre vestito sportivo, in pantaloncini, guardava sempre come in cagnesco. Non ricambiava mai il saluto e spesso puzzava di alcol”. Di sicuro, non un fanatico religioso.

“Neanche il Ramadan ha rispettato”, raccontano ancora i vicini. Babacar, senegalese, un piano più su, lo ricorda con la divisa da lavoro a “bordo di un camion, mentre scaricava mobili”, dopo aver avuto un mese fa la licenza, poco dopo quella condanna per una rissa. Ma “quel tir era ben più piccolo” di quello noleggiato l'11 luglio per la strage. Una strage che tutti qui leggono soprattutto come “un gesto di follia, di una persona con problemi psichiatrici”, ripetono sul ballatoio di questa palazzina su cui si sono accese le luci del mondo. Eppure il suo attacco è perfettamente in linea con gli appelli lanciati dall'Isis. Alla cui guerra forse, negli ultimi tempi, Bouhlel aveva deciso di aderire. Aggiungendola alla sua personale.

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