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Il Paese che ospita Gülen è contro i turchi

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IL GRANDE NEMICO

Il Paese che ospita Gülen è contro i turchi

L’ex predicatore Fehtullah Gülen (Reuters)
L’ex predicatore Fehtullah Gülen (Reuters)

Senza alcun dubbio o incertezza il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha puntato il dito contro Fethullah Gülen, l’ex predicatore islamico suo ex alleato da tre anni ritenuto il peggior nemico interno. Sarebbe lui l’ispiratore del tentato golpe militare di venerdì sera.
A conferma di quest’accusa, il primo ministro Binali Yıldırım ha detto di aver chiesto immediatamente l’estradizione di Gülen agli Stati Uniti, il Paese che da 17 anni ospita Gülen. «Qualsiasi Paese che decide di mettersi dalla parte di quest’uomo, non è amico della Turchia», ha dichiarato Yıldırım, arrivando a definire tale atteggiamento «un atto ostile contro la Turchia».
Che Gülen sia ormai un acerrimo nemico di Erdogan e del suo regime è un fatto indiscutibile. Ma avendo seguito per anni le attività dell’ex predicatore e studiato i suoi metodi e la sua rete d’influenza in Turchia, il Sole-24 Ore non vede basi solide nell’accusa di Erdogan. Anzi, ritiene molto più probabile che il presidente abbia colto l’occasione del fallito golpe per chiudere la partita con il leader di una rete di potere spirituale, politico, amministrativo ed economico autonoma dalla sua.

Fino a tre anni fa Gülen è stato il più stretto e potente alleato di Erdogan, di cui ha sostenuto l’ascesa al potere. Come l’attuale presidente, il predicatore era un “islamista soft”, nemico del secolarismo imposto da Atatürk dopo il collasso dell’Impero Ottomano. Ma quando Erdogan era ancora nel pieno della sua scalata al potere politico, Gülen aveva già il controllo di un movimento ai confini tra religione, politica ed economia noto tra i seguaci semplicemente come “il Servizio” - Hizmet in turco. Una sorta di Opus Dei, Comunione Liberazione e Compagnia delle Opere messe insieme. Ma di matrice islamica.
Senza il supporto di Hizmet, difficilmente il partito Akp ed Erdogan sarebbero riusciti a prendere il controllo quasi assoluto del potere. Ma una volta preso quel controllo, Erdogan ha deciso di sbarazzarsi di un alleato troppo autonomo e ingombrante. E lo ha fatto accusandolo di aver architettato una campagna di diffusione di false accuse di corruzione contro ministri dell’Akp e suo stesso figlio Bilal.
Allora molti osservatori indipendenti pensarono che l’attuale capo di Stato turco avesse usato un problema che nulla aveva a che vedere con il predicatore per liberarsi dell’unico turco in grado di resistergli e contrastarlo. Gülen poteva farlo anche perché non viveva in Turchia, e quindi era più difficilmente attaccabile. Dal 1999 si era infatti trasferito nel mezzo della Pennsylvania, a due ore da New York. E a costringerlo a lasciare il Paese erano stati proprio militari “laicisti” che vedevano in lui il più pericoloso nemico del secolarismo di Atatürk.

A partire dal nuovo millennio, era però cambiato tutto: i militari erano stati costretti a tornare nelle caserme e l’ascesa del partito islamico Akp era avanzata di pari passo con la scalata al potere mediatico, amministrativo ed economico di Hizmet. In particolare i seguaci di Gülen hanno guadagnato posizioni di potere nelle forze di polizia e nel sistema giudiziario. Un analista a cui il governo americano ha in passato chiesto un parere sul potere dei gülenisti in Turchia, ha dichiarato al nostro giornale che in quegli anni «Hizmet è riuscito a penetrare molte istituzioni statali, in particolare la polizia e il ministero degli Interni».
Quel potere è risultato evidente quando due giornalisti turchi che avevano scritto del movimento gülenista, Nedim Sener e Ahmet Şık, sono stati arrestati da un procuratore noto per aver lanciato accuse improbabili contro alti ufficiali delle Forze armate seguaci di Atatürk. Lo stesso è successo a Hanefi Avci, ex capo della polizia di una cittadina di provincia che aveva scritto un libro sull’infiltrazione gülenista nelle forze di polizia e del sistema giudiziario. Accusato di collaborazione con il terrorismo, l’ex poliziotto che per tutta la vita professionale aveva combattuto corruzione ed estremismo politico è stato arrestato e messo in carcere.

Insomma, non c’è dubbio che Gülen sia stato un grande macchinatore. Ma in due decenni di indubbia espansione nella vita pubblica ed economica turca, quello militare è rimasto l’unico settore in cui Hizmet non ha mai avuto presa. Per questo l’accusa di Erdogan pare infondata. Mentre avrebbe molto senso per il presidente di lanciarla per spingere gli Stati Uniti a estradarlo. Per poi sbatterlo in una galera da cui non potrebbe più macchinare nulla.

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