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La risposta tedesca alla sfida dell’integrazione

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L’approfondimento

La risposta tedesca alla sfida dell’integrazione

La matrice islamica dell’attentato di Monaco è ancora tutta da verificare, ma se mai fosse confermata metterebbe a dura prova i rapporti storici e culturali di lunga data della Germania con l’Islam moderato. E contribuirebbe certamente a rafforzare il partito anti-xenofobo Alternative für Deutschland, che secondo alcuni sondaggi ha toccato il mese scorso consensi intorno al 15%. L’ennesimo attentato jihadista in Europa andrebbe a incrociarsi nel caso tedesco con un altro elemento di forte tensione e potenzialmente destabilizzante: la repressione su larga scala avviata in Turchia dal presidente Erdogan dopo il fallito golpe.

In Germania ci sono oltre 4 milioni di cittadini che si dichiarano musulmani e di questi il 62% è di origine turca, vale a dire circa 3 milioni. È di gran lunga la presenza islamica più rilevante, diventata ancora più importante a partire dagli anni 60, quando l’economia tedesca aveva bisogno di forza lavoro per far ripartire l’apparato industriale. Furono gli anni dei Gastarbeiter, i lavoratori ospiti, ben accetti nelle fabbriche di Volkswagen e Siemens e altri colossi tedeschi, decisamente meno nella società tedesca di quegli anni. Con lo stesso schema e lo stesso obiettivo - frutto di accordi bilaterali con i governi dei Paesi di origine dei lavoratori - arrivarono in quegli anni gli italiani.

Dal dopoguerra e fino a non molti anni fa i grandi flussi migratori in Germania erano appunto regolati da tali intese bilaterali e dalle leggi relative alle richieste d’asilo. Il Paese, oggi meta preferita in Europa dai siriani in fuga dalla guerra, era stato la principale destinazione di profughi in fuga dalle guerre balcaniche degli anni Novanta. Di fronte a tali pressioni il problema dell’integrazione si è sempre posto, ma senza gli accenti drammatici e di tensione che avevano coinvolto altri Paesi europei, a cominciare dalla Francia.

Scene come nelle banlieues parigine non si sono mai viste nelle periferie delle grandi città tedesche, da Berlino a Monaco ad Amburgo, ma l’integrazione non è stata e non è facile, nonostante il generoso sistema di welfare abbia aiutato a non generare troppi focolai di possibili rivolte.

Secondo un sondaggio condotto nel 2013 dal Centro di ricerche sociali di Berlino, 2/3 dei musulmani intervistati hanno dichiarato che le regole della loro religione sono più importanti delle leggi del Paese in cui vivono. Sempre in Germania il 60% dei turchi ha votato per l’Akp, il partito del presidente Erdogan, alle ultime elezioni politiche, anche se altri Paesi europei hanno registrato adesioni più elevate nelle rispettive comunità turche. Sono numeri che soltanto pochi mesi fa sarebbero stati letti con relativa attenzione. Oggi, nel nuovo contesto di attentanti jihadisti in serie nel cuore dell’Europa e di una svolta ancora più autoritaria in Turchia, suscitano apprensione nella società tedesca.

Una società già scossa dalla politica di accoglienza che giusto un anno fa la cancelliera Angela Merkel aveva formalizzato nei confronti dei profughi siriani. La sparatoria di Monaco, sempre se di attacco jihadista si è trattato, e il giovane profugo che pochi giorni prima in un treno in Baviera aveva ferito gravemente a colpi di coltello e di machete cinque viaggiatori porteranno ulteriori consensi ai partiti estremisti e accresceranno il clima di sospetto, paura e incomprensione nei confronti degli immigrati. Anche di chi, come la comunità turca, fa parte stabilmente da decenni dei successi non solo economici della Germania.

Ironia della sorte, questo Paese pur essendo uno dei più aperti all’immigrazione (in rapporto alla popolazione è secondo solo agli Stati Uniti per numero di cittadini non di origine nazionale) ha riconosciuto ufficialmente di essere un Paese d’immigrazione non più tardi di 13 anni fa, dotandosi di una legge organica in materia. Si complica dunque il quadro politico in vista delle elezioni del settembre 2017, perché un partito xenofobo come AfD, che potrebbe avvicinarsi al 20% se dovesse permanere questo clima di tensione e paura, sarebbe davvero una sciagura per la stabilità del Paese dell’Europa intera: con questi consensi rischia di diventare la terza forza politica della Germania.

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