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la repressione di erdogan

Turchia, stretta sui media: arrestati 47 altri giornalisti, chiusi 45 giornali, 16 tv e 23 radio

(Epa)
(Epa)

Il pugno di ferro del “Sultano” si è abbattuto nuovamente su ciò che resta della libertà di stampa in Turchia. Dopo i militari, i magistrati, i rettori universitari e alcuni ambasciatori è toccato ancora al “quarto potere” fare le spese di una pericolosa spirale repressiva senza confini che sta allontanando sempre più la Turchia dall'Europa e dallo stato di diritto secondo le teorie di Montesquieu sulla divisione dei poteri. Una vasta retata di polizia in tutta la Turchia ha eseguito mandati di arresto per 47 giornalisti e personalità critiche del governo guidato dall'Akp, il partito filoislamico di Recep Tayyip Erdogan, al potere dal 2002. Inoltre in serata è giunta la notizia della chiusura da parte delle autorità turche di 16 reti televisive, 3 agenzie di stampa, 23 radio, 45 giornali e 10 settimanali. In totale sono oltre 130 media sono stati chiusi in Turchia in risposta al fallito golpe militare. Lo riferisce il quotidiano turco Hurriyet, diffondendo i dettagli di un decreto sullo stato di emergenza. In particolare sono state chiuse tre agenzie di stampa, 16 canali tv, 23 radio, 45 giornali, 15 magazine e 29 case editrici. Tra essi, l'agenzia Cihan, Zaman e Kanalturk. Un vero e proprio colpo di maglio sulla libertà di stampa.

In dettaglio le autorità turche hanno emesso un mandato d'arresto nei confronti di 47 giornalisti per presunti legami con la rete di Fethullah Gulen, accusato da
Ankara del fallito golpe. sebbene il predicatore oggi residente in Pennsylvania abbia sempre smentito ogni coinvolgimento nel golpe. Tra i giornalisti, ci sono molti ex reporter del quotidiano Zaman, sequestrato a inizio marzo e chiuso dalla polizia con la forza nonostante le vibrate proteste di molti manifestanti davanti alla sede del giornale a Istanbul.In manette è già finito il noto editorialista Sahin Alpay. Della lista fanno parte anche gli ex direttori dell'edizione inglese del giornale, Bulent Kenes e Sevgi Akarcesme.

Una pagina nera della liberta di stampa in Turchia che segue altre vicende di repressione come quella avvenuta il 7 maggio scorso quando il mondo aveva assistito in diretta tv prima a un fallito agguato a Cam Dundar e poi alla successiva condanna giudiziaria ai giornalisti del quotidiano di opposizione Cumhurryet, il direttore Can Dundar e il capo redattore Erdem Gul. I due erano stati condannati a cinque anni e 10 mesi dopo aver sconttao 92 giorni di carcere per uno scoop sul passaggio di armi a ribelli in Siria con un automezzo dei servizi segreti turchi. La pubblicazione della notizia è costata ai due coraggiosi giornalisti, oltre ai 92 giorni di carcere preventivo, l'accusa di spionaggio, minaccia alla sicurezza della Turchia e appoggio a gruppi terroristici.

La pena di morte

Che Erdogan sia deciso ad andare fino in fondo è ormai accertato. Reintrodurre la pena di morte in Turchia è la «volontà» della popolazione, ha dichiarato il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che nel corso di un'intervista rilasciata all'emittente tedesca Ard è tornato sulla possibilità di ripristinare la pena capitale per i golpisti, sostenendo che viene applicata «quasi ovunque» eccetto che in Europa. «Se siamo in uno Stato di diritto democratico è il popolo a decidere. E cosa dice la gente oggi? Vuole che la pena di morte sia reintrodotta», ha affermato Erdogan. «L'Europa - ha aggiunto - è l'unico posto dove non c'è la pena di morte, che invece esiste quasi ovunque».

La posizione della Farnesina

Il giorno successivo alla notte del fallito golpe in Turchia «abbiamo cominciato a prendere le distanze dalla reazione» del governo, «che è comprensibile, ma è apparsa a tutti spoporzionata, e con il passare dei giorni pericolosa». Lo ha detto il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, nel corso di un'audizione alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato sul vertice Nato di Varsavia. Gentiloni ha sottolineato le «violazioni nei confronti dei principi dello stato di diritto».

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