Mondo

Tra le crepe dell’integrazione il rischio di una «guerra»

  • Abbonati
  • Accedi
Europa

Tra le crepe dell’integrazione il rischio di una «guerra»

Il presidente francese François Hollande con il rabbino Haim Korsia e il primo ministro Cazeneuve
Il presidente francese François Hollande con il rabbino Haim Korsia e il primo ministro Cazeneuve

Guerra» è stata la parola più ricorrente nelle reazioni dei dirigenti politici francesi alla barbara uccisione di un anziano prete di provincia da parte di due terroristi islamici.Più di quanto non sia avvenuto dopo le stragi del 13 novembre a Parigi e il massacro di Nizza.

Di guerra hanno parlato il presidente François Hollande e il premier Manuel Valls. Di guerra ha soprattutto parlato il leader della destra Nicolas Sarkozy, che in questo clima avvelenato dove le voci della moderazione della ragionevolezza sembrano ormai inudibili diventa sempre più il probabile futuro presidente. «Dobbiamo infine capire – ha detto Sarkozy evocando indirettamente leggi speciali – che bisogna cambiare radicalmente la strategia e la portata della nostra risposta. Il nemico non ha tabù, non ha limiti, non ha morale. Dobbiamo essere spietati. Le arguzie giuridiche, le precauzioni, i pretesti per un’azione incompleta non sono più ammissibili. È una vera guerra. Non abbiamo altra scelta che quella di combatterla e vincerla». Di guerra - del rischio di «una guerra civile», di uno «scontro tra comunità provocato da gruppi dell’estrema destra»- aveva peraltro già parlato a maggio, durante un’audizione parlamentare, il capo dei servizi di sicurezza interni Patrick Calvar: «Penso che vinceremo la battaglia militare contro il terrorismo. Sono invece molto più preoccupato per il processo di radicalizzazione della nostra società. Non c’è una corretta percezione della rabbia che sta crescendo. Ancora uno o due attentati e ci sarà un conflitto intercomunitario». Si tratta forse di un allarme eccessivo. Ma forse il pericolo c’è davvero. Il pericolo che la paura, la diffidenza, il sospetto ci facciano cambiare modo di vivere. E che finisca il lungo periodo di convivenza sostanzialmente pacifica – sia pure con fasi ed episodi di improvvisa violenza – che abbiamo conosciuto per decenni. Per evitarlo è necessario che tutte le persone di buona volontà si diano da fare. I politici attualmente al Governo, adottando misure che pur rispettando lo stato di diritto ridiano fiducia all’opinione pubblica (nella quale, secondo i sondaggi, crescono velocemente il senso di insicurezza e la convinzione che lo Stato non protegga i cittadini). E i rappresentanti delle comunità religiose, a partire da quelle musulmane. Non a caso il rettore della moschea di Lione, Kamel Kaptane, ha detto che «spetta a noi prendere le nostre responsabilità e fare pulizia, poiché non possiamo accettare che questo avvenga in nome dell’Islam». Hollande ha ribadito che «l’obiettivo del terrorismo è quello di dividerci e dobbiamo essere un blocco senza crepe». Ma le crepe ci sono. Quelle di una fallimentare politica d’integrazione che ha reso tanti giovani permeabili alla propaganda fondamentalista, quelle dell’ipocrita miopia rispetto a quanto stava avvenendo nei quartieri ghetto degli immigrati e in tante moschee improvvisate. Bisogna provare a chiuderle , queste crepe. In fretta.

© Riproduzione riservata