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Lo «stato di salute» si valuta così

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Lo «stato di salute» si valuta così

  • –Nicola Alessio Borzi

Ieri sera l’Autorità bancaria europea (Eba) ha rivelato i risultati degli stress test, le “prove da sforzo” a cui ha sottoposto — come avviene periodicamente — i bilanci delle cinque maggiori banche italiane insieme a quelli di una quarantina di altri grandi gruppi creditizi europei. Milioni di correntisti e di risparmiatori che hanno investito in azioni o bond di Banca Intesa, UniCredit, Mps, Ubi e Banco Popolare possono valutare qual è la condizione della solidità patrimoniale, della liquidità e di altri indici che misurano lo stato di salute degli istituti in una condizione economica “normale” o in ipotesi avverse. Ma oltre agli istituti monitorati ce ne sono centinaia di altri che sono rimasti fuori dai radar. A cosa devono guardare i clienti quando cercano indicazioni?

Occorre selezionare innanzitutto le fonti di informazione. Ogni banca pubblica annualmente un bilancio: quelle quotate danno anche rendiconti semestrali e trimestrali. Questi sono i documenti più rilevanti nei quali è indicata la situazione dei conti, sia sotto l’aspetto della solidità (stato patrimoniale) che della redditività (conto economico). Ma ci sono poi anche i prospetti informativi dei titoli emessi dagli istituti, siano essi azioni, obbligazioni senior o bond subordinati. Su ognuno di questi vengono sintetizzate le informazioni di bilancio. Le banche maggiori pubblicano poi relazioni periodiche, presentazioni dei risultati, come anche comunicati stampa e informazioni obbligatorie che sono riportate obbligatoriamente sui siti internet.

Oltre ai documenti “autoprodotti” dagli istituti di credito vi sono poi una serie di informazioni che vengono diffuse da altri organismi: sono le autorità di vigilanza, come la Banca d’Italia e la Banca centrale europea oppure la Consob, che li sorvegliano, ma anche le società di rating, che valutano le banche e i loro strumenti finanziari, e gli analisti che seguono le tendenze aziendali e danno indicazioni periodiche sui titoli e sulle loro prospettive.

Per saper valutare correttamente queste informazioni è necessario però conoscere, anche dettagliatamente, un insieme di nozioni di economia, finanza e contabilità. Oltre alle nozioni fondamentali relative all’utile e alla perdita che viene registrata a bilancio, ci sono molti altri indicatori e fattori da considerare. Attraverso le scale dei rating, ovvero i giudizi di merito creditizio — cioé di valore — sulle banche e sui loro strumenti finanziari, è possibile sapere se quei titoli sono considerati “sicuri” (investment grade) o “rischiosi” (high yield).

Per chi ha competenze più elevate è possibile approcciarsi ai rapporti pubblicati periodicamente dagli analisti finanziari. Questi studi valutano le banche, sia singolarmente che collettivamente, e forniscono utili indicazioni sulle loro prospettive. In questi rapporti vengono utilizzati valori e indicatori reddituali e patrimoniali dei singoli istituti e dei loro concorrenti, per evidenziare “chi va meglio” o “chi va peggio”. Tra i principali, dal punto di vista della redditività, c’è il dividendo, cioé la quota di utile che va alla singola azione, come anche il dividend yield, cioé il rapporto tra la cedola staccata e il prezzo del titolo in Borsa. C’è poi il ritorno sul capitale (return on equity o Roe) che misura la redditività del capitale proprio di una società dividendo l’utile netto per il capitale proprio: più elevato è il Roe, maggiore sarà la remunerazione del capitale. C’è l’earnings per share (ovvero l’utile per azione o Eps), che aiuta a capire qual è la porzione del profitto della società che viene riconosciuta a un’azione. C’è inoltre il rapporto prezzo/utile (price/earning, o P/e) che mette in relazione il prezzo di un’azione in Borsa e il relativo utile per azione (Eps) e indica se un’azione è sopravvalutata oppure no rispetto ai suoi dati di bilancio ma anche rispetto ai titoli di altre banche.

Dal punto di vista patrimoniale, le nuove regole europee mettono sotto i riflettori il dato del Common Equity Tier 1, un indice di solidità che viene fissato periodicamente dai regolatori per ogni banca con valori diversi e che deve essere raggiunto dagli istituti. Oltre a questo c’è il price/book value (P/bv) , cioé il rapporto tra prezzo di Borsa delle azioni e patrimonio netto, che consente di confrontare la valutazione patrimoniale delle azioni espressa dalla Borsa con quella che emerge dal bilancio societario (il “valore di libro”). Generalmente un rapporto P/bv inferiore a 1 costituisce un segnale di “sottovalutazione” del titolo. Quando ciò avviene di solito una azione è considerata interessante come opportunità di acquisto. Ma può scattare però la “trappola del valore” (value trap) che si ha quando, indipendemente dai valori di bilancio della banca, il mercato ritiene che le sue azioni debbano essere quotate anche al di sotto del valore considerato “appropriato”. Ciò causa un deprezzamento o sconto delle quotazioni: è quello che sta avvenendo, come mostra il grafico in basso, a molte azioni di banche non solo italiane, ma anche dell’eurozona, Regno Unito e Giappone.

nicola.borzi@ilsole24ore.com

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