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Il mercato ora specula sugli «incagli»

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LO SCENARIO

Il mercato ora specula sugli «incagli»

La dura legge del benchmark, per di più artefatto, colpisce ancora. E nel mirino ci sono di nuovo le banche italiane, che negli ultimi mesi, in Borsa, hanno pagato il conto - salatissimo - di un precedente diventato “significativo” per il mercato: il salvataggio delle quattro banche di novembre con la vendita dei crediti in sofferenza al 18% del loro valore originale (peraltro successivamente ritoccato al rialzo). A giudicare dalla giornata di ieri a Piazza Affari, dopo il piano di salvataggio di Mps rischia di accadere lo stesso psicodramma.

Perché di mezzo c’è di nuovo un malato, l’istituto senese, intorno al quale il sistema ha costruito una cura, avallata dalla Vigilanza specificando che si tratta di una terapia “personalizzata”. Il problema è che si tratta di una terapia intensiva: Mps si sbarazza di tutti i crediti in sofferenza in un solo colpo, eleva il tasso di copertura delle stesse sofferenze al 67% e - questa è la vera novità - innalza al 40% i tassi di copertura sulle inadempienze probabili (cioè i crediti che una volta venivano chiamati «incagli»). Così la Borsa, sempre a caccia di pretesti (soprattutto in agosto), ha fatto finta di non sentire che il caso Mps è unico, e ieri si è mossa come se a tutte le banche italiane la Bce potesse chiedere prima o poi la stessa “cura” da cavallo. Uno scenario improbabile, a maggior ragione dopo gli esiti degli stress test di venerdì. Ma, se diventasse realtà, costringerebbe le banche italiane a iscrivere in bilancio nuove perdite e a erodere il capitale. Ecco perché ieri gli istituti italiani sono stati i peggiori d’Europa in Borsa.

La vera sorpresa riguarda proprio gli incagli. Sulle banche italiane gravano infatti 140 miliardi di incagli lordi, iscritti in bilancio con tassi di copertura ben inferiori rispetto al 40% fissato per Mps. Nel bilancio 2015 UniCredit li copre al 34,4%, Intesa al 24,8%, Ubi al 16,71%, il Banco Popolare al 25,44% e Bpm al 22,1%. È vero che dietro la voce crediti «incagliati» c’è un po’ di tutto: è dunque concettualmente sbagliato ipotizzare che a tutte le banche venga applicato lo stesso trattamento di Mps. «Si tratta di un indice sintetico,che non dice niente sulla qualità e sul valore dei crediti sottostanti - diceva domenica a Il Sole Victor Massiah, ceo di Ubi, cercando di prevenire la teoria del benchmark -. L’analisi va fatta a livelli di dettaglio maggiori». Ma la Borsa, come già è accaduto dopo il salvataggio delle 4 banche, non distingue. Fa di tutta un’erba un fascio. Così ora il tormentone a Piazza Affari Borsa è questo: cosa accadrebbe se a tutte le banche venisse applicata la “cura-Mps”?

Ieri Mediobanca Securities ha provato a fare due calcoli, ipotetici, per rispondere a questa paura. Ebbene: se tutte le principali banche italiane dovessero innalzare i tassi di copertura ai livelli del piano Mps (67% per le sofferenze e 40% per gli incagli), in media il loro capitale di migliore qualità (Cet1) verrebbe eroso di 120 punti base. Insomma: il loro coefficiente di solidità diminuirebbe di 1,20 punti percentuali. Nonostante questo, però, tutte le banche manterrebbero il coefficiente Cet1 sopra la soglia di sicurezza (in gergo Srep). Anche questa cura da cavallo non andrebbe quindi a compromettere in maniera irrimediabile il capitale di alcuna banca.

Ma la Borsa quando ha l’umore nero non si calma facilmente. E fa un ragionamento ancora più aggressivo: se Montepaschi ha dovuto alzare le coperture degli incagli al 40% e quelle delle sofferenze al 67% per poterle vendere al fondo Atlante, possibile che le altre banche debbano fare di più per vederle ad investitori “veri”? Atlante è infatti nato come fondo di sistema per comprare crediti deteriorati a prezzi favorevoli per le banche: se anche il fondo di sistema causa tali perdite a Mps - si domanda il mercato - sulle altre banche ci saranno svalutazioni ancora più violente? Mediobanca Securities ha cercato di rispondere anche a questa domanda, seppur ancora più ipotetica, applicando svalutazioni ancora più aggressive. E il risultato, anche questa volta, non è così male: tutte le banche resterebbero con un coefficiente di solidità superiore alla soglia di guardia (Srep), tranne UniCredit e il Banco Popolare (peraltro in fase di aggregazione con Bpm). Ma si tratta comunque di suggestioni. Tutti sono ben consci che il caso di Mps è specifico e non estendibile ad altri. L’estate, si sa, è la stagione dei tormentoni.

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