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Fuori dalla Ue più difficili anche i rapporti con Pechino

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L'Analisi|l’analisi

Fuori dalla Ue più difficili anche i rapporti con Pechino

Il premier britannico Theresa May si sta accorgendo con rapidità che girare le spalle all’Unione europea, sperando di ammortizzarne l’effetto aprendosi al mondo cosiddetto emergente, non è affatto semplice.

L’urgenza economico-commerciale e la cautela politico-diplomatica non si muovono allo stesso ritmo, come sta dimostrando la surreale vicenda di Hinkley Point C. Si tratta della centrale nucleare che dovrà essere realizzata e gestita da Edf, ma largamente finanziata –almeno un terzo dei 18 miliardi di sterline previsti - dalla Cina.

Non entriamo nei dettagli sulla validità di un progetto che rischia di essere sussidiato di fatto dai consumatori britannici per un multiplo di quanto inizialmente previsto, ma sul conflitto che divide il neo-governo May. L’esecutivo di David Cameron, grande sponsor dell’abbraccio sino-britannico, aveva esercitato pressione su Edf per sancire l’ok definitivo al piano per la centrale. E l’ok francese è arrivato - giovedì scorso – quando a Downing street, però, non abitava più David Cameron, ma Theresa May.

La prospettiva di Londra è mutata radicalmente. Il nuovo esecutivo è stato esplicito nel chiedere time out sia a Edf sia al governo cinese: mesi di rinvio per poter riconsiderare il piano. Una prospettiva che ha colto di sopresa l’impresa francese e, a quanto risulta, irritato assai Pechino. Con Hinkley Point C rischia di saltare il più ampio progetto, legato allo sviluppo di altre centrali nucleari in Gran Bretagna, che Pechino sperava di poter realizzare da una posizione di crescente leadership.

Il fastidio nella repubblica popolare è evidente. Simile a quello che avverte Jim O’ Neill ex banchiere di Goldman Sachs, inventore dell’acronimo Brics, considerato dall’ex cancelliere George Osborne una sorta di super ambasciatore presso la corte del governo cinese. Il banchiere si domanda perché sia stato riconfermato Treasury minister nel nuovo esecutivo e scalpita per capire meglio quale sia la strategia di Theresa May. A svelarla è stato l’ex ministro del Business, il liberaldemocratico Vince Cable. «Theresa ha sempre avuto pregiudizi sugli investimenti cinesi nel Regno Unito», ha detto ricordando le riunioni del governo di coalizione Tory-LibDem.

Come farà la Gran Bretagna a sganciarsi dall’abbraccio europeo e a “ridimensionare” il ruolo che Pechino – nella visione di David Cameron e George Osborne- sembrava destinata a ricoprire nello sviluppo infrastrutturale, finanziario e commerciale di Londra ? Interrogativo reso ancor più incalzante dalla piega presa dall’economia che s’incammina verso una recessione quantomeno tecnica, in quadro di grave deficit delle partite correnti, mentre si chiudono le porte dell’Ue.

Nick Timothy il chief of staff di Theresa May, da sempre, guarda alla Cina con grande sospetto per ragioni politiche e di difesa nazionale. Non lo convince l’idea di mettere, almeno in parte, nelle mani di Pechino la sicurezza energetica, soprattutto quella nucleare, del Regno Unito. La sensazione è che la signora neo-premier ne sia stata influenzata. Le cautele politico-diplomatiche, ancor di più se correlate alla difesa dei diritti umani in Paesi lontani dalla democrazia, devono essere, crediamo, sempre benvenute. Resta da capire se, nel mondo del dopo Brexit, potranno essere economicamente sostenibili.

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