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Per Vladimir Putin le accuse di Hillary Clinton contro i servizi russi per aver hackerato le email repubblicane «sono una dimostrazione di debolezza del candidato democratico». Un chiaro “assist” di Putin alla campagna di Donald Trump e l’ultimo tassello di una serie di preoccupanti coincidenze che suggeriscono una vicinanza al di là del normale fra la campagna di Trump e Mosca. Nelle ultime ore abbiamo appreso che il capo della campagna, Paul Manafort, era stato consulente di Viktor Yanukovich, il presidente ucraino deposto da una rivoluzione popolare e costretto alla fuga a Mosca. È noto quanto il suo regime fosse corrotto, ma non che Manafort dopo il voto e la nomina del nuovo governo in Ucraina avesse continuato a lavorare per gruppi vicini a Yanukovich per favorire il ritorno di un governo comunista quando l’America e l’Occidente cercavano di garantire la tenuta della democrazia a Kiev. Il New York Times ha dato il resoconto più completo di questo ennesimo colpo di scena nella corsa alla Casa Bianca del 2016. Che la Russia fosse al centro dello scandalo di hackeraggio delle email democratiche lo avevano infatti rivelato fonti ben prima che Hillary attaccasse Putin nel fine settimana. Putin ha naturalmente smentito: «Provatelo, finora non abbiamo ricevuto proteste ufficiali». Ma che Mosca stia mettendo il naso nella politica interna americana è ormai fuor di dubbio dopo le dichiarazioni del leader moscovita sulla debolezza di Hillary.
E con questa storia complessa e densa di intrighi internazionali siamo al quarto imbarazzo grave per Donald Trump in pochi giorni. Il secondo episodio è sempre legato alla questione russa: il Donald ha continuato a strizzare l’occhio alla Russia di Putin commettendo un errore imperdonabile, ha detto che Mosca non è in Ucraina. Poi si è corretto, ma sulla presenza russa ha minimizzato. Si aggiunga questo alle dichiarazioni provocatorie sulla Nato e all’avvertimento di non essere pronto a intervenire in difesa dei paesi Baltici in caso di attacco russo. Non ci sono che due soluzioni, o Trump è suo malgrado “complice” del nemico russo oppure non sa di che cosa sta parlando. Vogliamo sperare che si tratti della seconda ipotesi, comunque preoccupante: chi al mondo non sa che la Russia ha invaso l’Ucraina, in Crimea nelle provincie orientali?
Ma il problema ancora più urgente per Trump riguarda la coda della Convention democratica: nel suo inguaribile narcisismo ha continuato ad attaccare Khizr e Ghazala Khan, i genitori di Humayun Khan, capitano dell’esercito americano, musulmano, ucciso in Iraq a 28 anni. L’aspetto narcisistico in questo episodio è gravissimo, perché Trump ha visto la rivolta contro di sé dell’intero partito repubblicano. E riguarda una doppia patologia: la prima è quella di volersi mettere sempre al centro di una discussione, la seconda di sparare accuse o posizioni sempre più grosse quasi a vedere fin dove può arrivare. In questo caso, attaccando i genitori di un soldato morto in modo eroico, ha superato ogni limite dell’etica nella tradizione americana. Un soldato ucciso è intoccabile, accusare i suoi genitori per questioni razziali o religiose inaccettabile. E la conferma di quanto il narcisismo possa danneggiare Trump l’abbiamo anche dalla sua spiegazione su Twitter: «Il Sign. Khan non mi conosce, mi ha attaccato in modo infame su tutte le reti Tv e io lo ripago con la stessa moneta».
Le conseguenze non sono da poco, la più recente è la presa di distanza di John McCain che ha vinto la nomination del partito nel 2008 ma si è tenuto distante dalla Convention di Cleveland. McCain ha diramato un comunicato in cui ha attaccato Trump ed espresso solidarietà e ammirazione per i genitori del soldato. Ma la dichiarazione più seria per Trump è giunta da John Kasich, il governatore dell’Ohio, anche lui assente dalla Convention. Kasich ha criticato Trump e confermato che non farà nulla per aiutarlo in Ohio. Una dimostrazione di quanto Trump sia poco a suo agio in politica: l’Ohio è uno stato chiave per le elezioni di novembre. Kasich è un governatore amato e non alzerà un dito per aiutare il candidato repubblicano.
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