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La bassa redditività che tocca tutta Europa

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La bassa redditività che tocca tutta Europa

  • –Fabio Pavesi

È come un gioco a rimpiattino tra mercato e banche che va in scena ormai da anni, dallo scoppio della più grave crisi finanziaria del dopoguerra. In questo gioco che alterna momenti rari di euforia a profondi e lunghi stati depressivi c’è un convitato di pietra sempre presente. Sono i regolatori che da quando la Lehman è collassata hanno puntato gli occhi sul credito e sulla sua sostenibilità agli choc. Che il mondo bancario pre-crisi lavorasse, sia negli Usa che in Europa, con capitali poco adeguati, una leva debitoria eccessiva è un fatto innegabile. Con il mondo in panne post-Lehman occorreva metter mano a questo squilibrio. Più capitale, meno attività a rischio e leve più basse.

Questo è accaduto ovunque. Si è ricapitalizzato più volte di qua e di là dall’Atlantico e le banche hanno messo in atto uno dei più potenti deleverage della loro storia. Dimagrite, con prestiti e titoli tagliati a più non posso. Basti pensare a colossi inglesi come Rbs che ha quasi dimezzato i suoi attivi. O Deutsche bank che è passata da oltre 2mila miliardi di attività nel 2012 ai poco più di 1.600 l’anno scorso. Una manovra che ha visto agire sia sul capitale (elevandolo) sia sugli attivi (diminuendoli): tutto questo per tenere quei parametri di patrimonio sugli attivi a rischio sopra un’asticella che i regolatori hanno imposto sempre più alta. Una manovra preventiva atta a scongiurare nuovi crac bancari. Un obiettivo legittimo, doveroso da parte dei policy makers.

Peccato che tutto è questo sia avvenuto in un contesto recessivo dell’economia e in un contesto operativo per le banche sempre più difficile. Le svalutazioni sui crediti, gli accantonamenti per i contenzioni legali, le perdite sui portafogli ereditati dalla crisi Lehman hanno fiaccato i conti economici delle banche un po’ ovunque. E come anche un neo-laureato in economia sa, più alzi il capitale più deprimi la redditività su quel capitale. È proprio quello che è accaduto all’intero sistema bancario europeo. Qualche osservazione può aiutare a comprendere la debolezza sulla profittabilità divenuta tratto ormai strutturale.

La Deutsche Bank prima di Lehman correva con un Roe% medio a due cifre: nel 2006-2007 gli utili sul patrimonio erano sopra il 18%. Dal 2010 il Roe è scesa al 5% per poi annullarsi l'anno scorso dopo la maxi-perdita da quasi 7 miliardi. Il colosso Rbs correva a Roe del 15% fino al 2007. Poi il buio con sette anni di perdite consecutive per la bellezza di oltre 40 miliardi di sterline. Il ritorno sul capitale medio della francese SocGen si è attestato al 5% dal 2011 al 2104 per poi risalire al 6% l’anno scorso. Il Banco Popular Espanol ha visto il suo Roe declinare fino ad azzerarsi l'anno scorso. Il quadro accomuna tutti: dai big dell'investiment bank alle banche commerciali. Basti ricordare che l’intero sistema bancario italiano ha cumulato perdite per quasi 50 miliardi tra il 2011 e il 2014, ha fatto aumenti di capitale per un importo analogo e ha ritrovato gli utili solo l’anno scorso per un monte profitti cumulato da 5 miliardi. Il peggio è però dietro alle spalle. Anche con una nuova pesante ondata recessiva le banche europee sono attrezzate per rimanere in piedi (come ha certificato l’ultima tornata di stress test). E i profitti stanno lentamente tornando. Ma il clima che li terrà bassi rispetto all’età pre Lehman è destinato a durare. I tassi così bassi mordono i ricavi da intermediazione di denaro. E lo faranno anche nei prossimi mesi. Ecco perché in quel gioco a rimpiattino il mercato ha gioco facile a bersagliare le banche. Prima le paure sul capitale, ora la bassa redditività sono elementi che tengono il mercato lontano dal settore. Con il costo del capitale che è doppio rispetto alla redditività difficile trovare nelle banche un investimento attrattivo. E quei multipli che valutano la gran parte delle banche poco meno, poco più la metà del loro patrimonio sono eloquenti. Per ora.

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