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Buffett: «In Borsa una scimmia è meglio di Trump». Ha…

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la provocazione dell’oracolo di omaha

Buffett: «In Borsa una scimmia è meglio di Trump». Ha ragione?

Warren Buffett (Reuters)
Warren Buffett (Reuters)

Una scimmia che tira freccette dal 1995 avrebbe guadagnato in Borsa molto di più di quanto ha fatto la Trump Entertainment Resorts, una delle società del candidato repubblicano alla presidenza, probabilmente la peggiore. Parola del quasi 86enne Warren Buffett, quarto uomo più ricco del mondo, che qualche giorno fa nella natia Omaha, in Nebraska, di fronte a Hillary Clinton, è sceso in campo a muso durissimo contro Donald in quella che i media americani hanno già battezzato la “Billionaire Battle”, la battaglia dei miliardari.

Per cominciare Buffett ha sfidato Trump a mostrare le sue dichiarazioni dei redditi degli ultimi anni, come ha fatto la Clinton. Al fianco di Hillary, Warren ha invitato Donald a fare un “Full Monty” fiscale, uno “spogliarello” pubblico delle sue dichiarazioni dei redditi davanti a tutti. «Se Trump ha paura di farlo, significa che ha i suoi buoni motivi» è stata la stoccata dell’Oracolo di Omaha.

Ma la cosa più interessante è che Buffett ha apertamente accusato Trump di essere una schiappa dal punto di vista imprenditoriale e finanziario. E' vero? Se ci riferiamo alla società Trump Hotels and Casino Resorts indubbiamente sì. Felicemente quotata in Borsa nel giugno 1995, aveva raggiunto in poco tempo un miliardo di dollari di capitalizzazione, per la felicità di Donald, amministratore delegato, che con il suo 41% di azioni si era ritrovato con circa 400 milioni di dollari. Ma nel decennio successivo la società ha perso soldi ogni anno fino a quando, nel 2004, Trump ha dovuto abbandonare la carica di amministratore delegato, con la compagnia ce è stata ribattezzata Trump Entertainment Resorts.

Buffett ha rigirato il coltello nella piaga di una delle pagine peggiori della storia di Trump, davanti a Hillary e ai supporter democratici. «Nel 1995 se una scimmia avesse scelto le azioni da acquistare tirando freccette su una pagina di giornale con i nomi delle società quotate avrebbe guadagnato il 150% in dieci anni - ha spiegato l’oracolo di Omaha - . Ma gli investitori che hanno creduto in Donald hanno perso in dieci anni il 90% dei loro soldi». Ogni dollaro finito alla Trump Hotels and Casino Resorts si è trasformato in un dime, una moneta da dieci centesimi, ha tagliato corto l’anziano mago della finanza.

Ma c’è di più. Un semplice studio di John Griffin, docente di finanza all’Università del Texas, sembra confermare la teoria di un Trump assai sopravvalutato come imprenditore. Il punto di partenza è un’intervista al New York Times del novembre 1976 in cui Donald affermava di avere un patrimonio di oltre 200 milioni di dollari. Bene: ipotizziamo di investire questi 200 milioni nell’indice Ftse Nareit All Equity. Di cosa si tratta? Di una specie di benchmark sul settore immobiliare statunitense sviluppato all’inizio degli anni Settanta dal National Association of Real Estate Investment Trusts (appunto il “Nareit”). Alla fine del 2015 i 200 milioni, investiti passivamente quarant’anni prima nel Ftse Nareit All Equity, sarebbero diventati la bellezza di 23,2 miliardi di dollari. Peccato, nota Griffin, che l’attuale patrimonio dichiarato da Trump sfiori i 10 miliardi, meno della metà. «In pratica, il candidato repubblicano alla presidenza ha sottoperformato il mercato di 13,2 miliardi di dollari - sottolinea l’economista statunitense - pari a ben il 57%».

Tra l’altro Donald avrebbe, sempre secondo Griffin, messo a segno questi miseri risultati esponendosi a rischi ben più alti della media: mentre infatti l’indice Nareit prevede una leva (cioè una percentuale di debito sugli investimenti immobiliari) del 36%, Trump è “leveraggiato” in media del 69%, ossia più del doppio. «Per raggiungere la sua povera performance, ha avuto bisogno di ricorrere a un rischio molto maggiore di quello di mercato», ironizza il professore texano. Chissà se la scimmia di Buffett avrebbe saputo fare di meglio.

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