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L’abbraccio al Cremlino preoccupa Ue e Nato

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L'Analisi|l’analisi

L’abbraccio al Cremlino preoccupa Ue e Nato

«Una nuova era nelle relazioni tra Russia e Turchia», sarebbe quella destinata ad aprirsi con i «colloqui col mio amico Vladimir»: parola di Tayyp Erdogan. In un’intervista pubblicata domenica dalla Tass il sultano di Ankara ha presentato in questa forma il viaggio che oggi lo porterà a incontrare il presidente russo Putin. Sono lontani anni luce i tempi in cui la sua contraerea abbatteva un aviogetto russo sconfinato per una manciata di secondi nel cielo turco. L’”incidente”, che aveva provocato parole di fuoco tra Mosca e Ankara con ritorsioni economiche e diplomatiche da parte russa, era stato già parzialmente archiviato nelle settimane immediatamente precedenti il fallito golpe di luglio. Poi, nelle concitate ore del pronunciamento militare, Putin era stato tra i più solerti e tempestivi a esprimere una solidarietà incondizionata ad Erdogan: molto meglio e molto prima di Washington, Bruxelles e delle capitali dei principali Paesi europei. Oltre tutto, coerentemente con lo standard democratico vigente a Mosca, nei giorni che hanno trasformato la legittima reazione difensiva del governo turco in una aggressione feroce contro ogni forma di dissenso, la Russia si è ben guardata da esprimere la benché minima preoccupazione per la repressione in atto
in Turchia.

Le due più importanti “non-democrazie” alle porte di Europa ostentano così una ritrovata amicizia, nel nome del principio della non ingerenza nei (propri) affari interni e nei disinvolti “maneggi” dei propri leader. Poco importa che entrambe siano impegnate (su fronti opposti, ma anche questo è un dettaglio superabile) nello scempio della guerra civile siriana, della cui degenerazione portano entrambi una pesante responsabilità. Il turco ha consentito lo sviluppo abnorme dello Stato islamico, permettendo il flusso continuo di nuove reclute attraverso i suoi confini, favorendo il massacro dei curdi e finanziandolo attraverso l'acquisto illegale di petrolio. Il russo ha rafforzato la politica di bombardamenti indiscriminati del suo stesso popolo da parte del presidente Assad, primo colpevole dell’annichilimento del futuro di una nazione intera. Ora Erdogan, civettuolo, si spinge a riconoscere che «senza il coinvolgimento russo nessuna soluzione è possibile» e intanto minaccia l’Europa di riaprire il rubinetto dei profughi mentre accusa apertamente gli Stati Uniti di aver partecipato all’orchestrazione del colpo di Stato (non del suo, ovviamente, ma di quello abortito).

Con le decisioni assunte e annunciate in questa settimana da Ankara, la Bruxelles “sponda Ue” tira in fondo un sospiro di sollievo rispetto alla fanta-ipotesi di una membership turca, ormai morta e sepolta da anni, anche se ovviamente cresce la preoccupazione che l’accordo sui migranti possa saltare. È però nella Bruxelles “sponda Nato” che l’attivismo di Erdogan desta qualche ansia maggiore, tanto più se anche l’Iran dovesse far parte di una nuova intesa transcaucasica. Ma si tratta di preoccupazioni fondate? L’appoggio russo o iraniano alla Turchia, in chiave antioccidentale, in realtà era scontato: mentre un accordo sulle sorti del Levante potrebbe realizzarsi solo a condizione di sanzionare il fallimento totale della politica estera perseguita da Erdogan fin dallo scoppio delle rivoluzioni arabe. Per di più, qualunque tentativo di rapprochement tra Mosca e Ankara in Siria correrebbe il rischio di essere scavalcato da un sempre possibile accordo russo-americano. In termini strategici, infine, un riavvicinamento troppo marcato della Turchia alla Russia apparirebbe difficilmente sostenibile nel lungo periodo, oltre a ribaltare una tradizione plurisecolare della politica turca.

La verità è che, persino dopo il controgolpe che lo ha reso padrone assoluto della Turchia, Erdogan deve misurarsi con l’evidenza di una politica estera fallimentare, in cui la Turchia può al più pericolosamente sperare di essere una pedina utile al gioco di altri: una delusione cocente per chi si credeva di rinverdire i fasti di Maometto il conquistatore o di Solimano il magnifico. Unica consolazione (non da poco) per Erdogan è che i suoi sudditi non potranno “apprezzarne” più di tanto il disastro, considerato lo stato miserabile in cui versa la libertà di stampa sulle rive del Bosforo.

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