Ordigni incendiari e bombe rudimentali contro l’establishment militare-monarchico e l’industria del turismo: tra giovedì e venerdì, il Sud della Thailandia è stato scosso da una serie di attentati che hanno ucciso quattro persone, tutte thailandesi, e causato decine di feriti. Tra questi, molti stranieri, compresi due italiani, Lorenzo Minuti e Andrea Tazzioli, in condizioni non gravi.
Gli obiettivi scelti, spiagge, mercatini, negozi di souvenir in rinomate località turistiche (Hua Hin, Phuket, Trang, Surat Thani, Phang Nga, Krabi), indicano la volontà di colpire un settore che genera circa il 20% del Pil, uno dei pochi in salute in un’economia in crisi da due anni. Trenta milioni di persone hanno visitato il Paese l’anno scorso, e oltre 16 milioni nei primi 5 mesi del 2016. Il giorno scelto, la vigilia della festa nazionale per il compleanno della regina Srikit, mette invece nel mirino il blocco militare-monarchico che regge le fila del Paese: i generali, saliti al potere nel 2104 dopo l’ennesimo colpo di Stato, sono il più strenuo baluardo della corona, in un Paese dove la maggioranza della popolazione venera l’anziano sovrano Bhumipol come una sorta di divinità, tanto che basta mancare di rispetto alla famiglia reale (e al cane di corte) per finire in galera.
Degli almeno dieci attentati che si sono susseguiti in poche ore, il più grave è avvenuto nella tarda serata a Hua Hin, dove ha sede la residenza favorita del sovrano fuori Bangkok, il palazzo reale Klai Kangwon, che significa “Lontano dalle preoccupazioni”. In una strada piena di bar e ristoranti, due bombe nascoste tra vasi di piante sono state fatte esplodere con un telefonino a circa 40 minuti l’una dall’altra. Una donna thailandese è rimasta uccisa e venti persone sono state ferite. Nella notte gli altri attentati, uno ancora a Hua Hin (un morto e 4 feriti). Presa di mira anche una stazione di polizia a Surat Thani. La lunga scia era cominciata giovedì mattina, a Trang.
Per il momento, le autorità parlano di «sabotaggio locale» ed escludono l’ipotesi del terrorismo internazionale e di gruppi estremistici legati all’Isis, che invece avevano rivendicato l’attacco portato a Giacarta (capitale dell’Indonesia) a gennaio di quest’anno: nel Sud-Est asiatico sono numerose le milizie che hanno issato la bandiera nera del Califfato.
La polizia, che ha arrestato due persone, afferma che non si tratta di «terrorismo» e tende a smontare anche la pista dei gruppi separatisti attivi nelle tre province a maggioranza musulmana del Sud del Paese, Yala, Pattani e Narathiwat. Anche se alcune fonti della polizia hanno messo in evidenza che lo schema degli attentati segue proprio il modello solitamente adottato nel Sud.
Emerge tra le righe la volontà di collegare i fatti agli oppositori del regime militare. Domenica scorsa, un referendum ha approvato la nuova Costituzione scritta e voluta dai generali per rafforzare la propria presa sul Paese. Nei giorni a cavallo del voto, nel Sud si sono verificati più di trenta attentati “minori”. A stabilire la connessione è stato, velatamente, lo stesso primo ministro Prayuth Chan-ocha: «Perché proprio adesso che stiamo ritrovando la stabilità? Chi è che non vuole vedere la Thailandia migliorare? Trovatelo per me», ha affermato l’ex-generale al Governo dal maggio del 2014, quando spodestò con un golpe, il 12° dal 1932, l’allora primo ministro Yingluck Shinawatra, sorella del tycoon Thakisn, che nel 2006 aveva subito la stessa sorte e che ora è in esilio volontario.
Il movimento indipendentista affonda le radici negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale. Dal 2004 le violenze hanno subito un’escalation, causando 6mila morti e spingendo le autorità a mettere tutta la regione sotto legge marziale. Se i recenti attacchi fossero opera di questi gruppi, si tratterebbe in effetti di un cambio di strategia: finora raramente sono stati colpiti i turisti e il bersaglio degli attentati sono stati soprattutto forze dell’ordine, dipendenti statali e comunità buddhiste. La repressione è altrettanto dura: le organizzazioni internazionali dei diritti umani denunciano torture ed esecuzioni di prigionieri.
In un Paese abituato ai colpi di Stato, ma non a efferati episodi di violenza, gli attentati di ieri sono i più gravi da quello che il 17 agosto 2015 fece 20 morti a Bangkok, per lo più turisti provenienti da altri Paesi asiatici. In quel caso, come responsabili furono individuati estremisti uighuri (l’etnia turcofona e musulmana maggioritaria nella provincia cinese dello Xinjiang, che si considera oppressa da Pechino), che avevano come obiettivo turisti cinesi.
Ieri, le autorità hanno raccomandato alla popolazione di non frequentare posti affollati e altrettanto hanno fatto diversi Paesi stranieri, come Italia, Germania Stati Uniti, Australia e Gran Bretagna.
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