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I tempi diversi del business e della diplomazia

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L'Analisi|Europa

I tempi diversi del business e della diplomazia

Dopo i militari, i giornalisti, gli insegnanti di ogni ordine e grado, i grand commis e i burocrati di stato, i medici e i poliziotti, ora tocca agli uomini d’affari privati. La grande purga di Erdogan che ha trasformato in golpe quello che doveva essere un legittimo ripristino della legalità ha colpito anche loro. Ora non dovrebbe mancare più nessuno.

Ogni regime politico ha le sue imprese di riferimento, e viceversa. Il binomio Recep Erdogan/Fetullah Gulen aveva garantito libertà e prosperità economiche mai conosciute dalla Turchia. Su questo avevano fondato il successo del loro modello politico di Islam moderato. Anche in Egitto i Fratelli musulmani locali, parenti di quelli turchi, avevano creato la loro confindustria ancor prima di andare al potere: come lo hanno perso (anche al Cairo con un supposto ripristino della legalità che aveva il chiaro profilo di un golpe), il generale al-Sisi ha perseguitato gli imprenditori legati al nemico. Quindi ha distribuito al più presto possibile appalti e benefici agli uomini d’affari a lui legati, generali compresi.

La guerra fratricida tra Erdogan e Gulen aveva forse colto impreparati governo e imprenditori turchi nello stabilire chi stava con chi. Ci ha pensato l’altro giorno l’equivalente locale della Guardia di Finanza d’improvviso ha ritenuto illegale quello che fino a pochi giorni fa era ammesso – fisco, contratti, appalti, ecc.. -, decidendo di farlo in base all’affiliazione politica dell’impresa perquisita.

Gli ambasciatori di Ankara nel mondo sono stati incaricati di propagandare ovunque sia possibile la solidità della democrazia turca e le sue lucrose opportunità economiche: lo ha fatto l’altro giorno anche Aydin Adnan Sezgin, ambasciatore a Roma. Ma dubbi e sfiducia crescono ogni giorno di più. Soprattutto fra i Paesi dell’Unione europea che è un partner economico fondamentale della Turchia. E viceversa.

Diplomazia e business non sempre viaggiano sullo stesso binario temporale: la prima è événementielle, per dirla con lo storico Fernand Braudel, la seconda di più lunga durata. Un esempio è il terzo ponte sul Bosforo costruito dal gruppo Astaldi, progettato ed edificato in tempi non sospetti ma che dovrebbe essere inaugurato il 26 agosto, in tempi invece turbolenti. A cerimonie di questo livello di solito partecipano ministri, ma se vi andrà uno italiano sarà il primo europeo a visitare la Turchia dall’inizio delle sue purghe post-golpiste. Se ci va crea un problema politico, se non ci va un danno economico. Che fare?

Lo stesso dilemma vale per l’Egitto, soprattutto dopo la tortura e l’assassinio di Giulio Regeni. Il nostro interscambio con il Cairo valeva più di 5 miliardi nel 2014; quello con Ankara circa 16 nel 2015. Erdogan in Turchia continua le sue epurazioni, al-Sisi in Egitto le sue repressioni violente: il 16 agosto Ahmad Abdallah, consulente legale della famiglia Regeni,in custodia cautelare dal 25 aprile, è stato picchiato nella sua cella. I suoi aguzzini gli hanno sequestrato i libri, fra i quali “1984” di George Orwell, una buona descrizione dell’Egitto di oggi.

In Turchia, in Egitto e, in questo crescente mediorientale di crisi, anche in Iran – un Paese che si è riaperto ma rimane pieno d’incognite - cosa devono fare i nostri imprenditori? Guardare al futuro o amministrare il presente fino a che è possibile? Sono tre Paesi storicamente importanti per le nostre imprese, in condizione di stabilità garantirebbero grandi opportunità. Ma in questo caso più delle imprese, è il governo che deve prendere decisioni di prospettiva.

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