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Per la Ue è il momento di affrontare i propri errori

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l’analisi

Per la Ue è il momento di affrontare i propri errori

Sono trascorsi settantacinque anni da quando, nel luglio 1941, tre militanti antifascisti italiani di differenti matrici politiche e culturali, confinati a Ventotene, concepirono un progetto come quello di “un’Europa libera e unita” tanto più ardito e temerario in quanto gran parte del Vecchio Continente si trovava a quell’epoca sotto il tallone della Germania nazista.

Fu Altiero Spinelli, affiancato da Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi, a redigere buona parte del famoso “Manifesto” che prese poi nome dall’isola pontina e che, diffuso clandestinamente durante la Resistenza contro il regime nazifascista, divenne la Bibbia del movimento federalista europeo. Spinelli aveva avvertito, fin dal 1939 (dopo l’abiura alla sua originaria fede politica, motivata dalla propria incompatibilità con i dettami del marxismo-leninismo), la necessità di un “esame di coscienza”, di una severa riflessione sulle cause delle degenerazioni prodotte dalla dittatura hitleriana e da quella staliniana (firmatarie del patto Molotov-Ribbentrop) e sull’immane catastrofe abbattutasi sull’Europa. Insieme ai suoi compagni aveva così maturato il convincimento che fosse dovere imprescindibile della propria generazione battersi per un’alternativa politica tale da impedire la resurrezione dalle ceneri della guerra di nuovi antagonismi nazionalistici e da bandire ogni forma di potere dispotico.

A tal fine gli autori del “Manifesto” s’ispirarono al pensiero federalista inglese, in particolare all’opera di John Robert Seeley, che aveva identificato in una forma di governo sovranazionale l’unico sistema politico in grado di garantire, insieme all’eliminazione dei conflitti fra gli Stati, anche lo sviluppo di istituzioni parlamentari democratiche. Perciò, ferma restando l’ammirazione per quella sorta di prodigio rappresentato dalla Costituzione federale degli Stati Uniti d’America, si sarebbe dovuto dar vita a un’organizzazione federale congeniale al contesto europeo. Di qui il raccordo con le tesi di Luigi Einaudi, uno dei padri intellettuali del liberalismo italiano che, nel 1918, in un suo saggio pubblicato con lo pseudonimo di “Junius”, aveva sostenuto la necessità di creare un’entità politica sovranazionale per sottrarre l’Europa a una sequenza interminabile di guerre fratricide e di laceranti contese egemoniche.

Si spiega pertanto l’iniziativa assunta da Matteo Renzi per un vertice nell’isola pontina indetto nella giornata del 22 agosto con Angela Merkel e François Hollande, che serva non solo per ricordare quello che ha costituito l’atto di battesimo della causa europeista ma soprattutto per compiere una doverosa riflessione collegiale sulle attuali condizioni e prospettive della Comunità europea.

C’è da chiedersi infatti cosa sia rimasto oggi dei motivi ideali e delle finalità che ispirarono il progetto originario di un’Europa sempre più coesa e integrata sotto ogni profilo.

Sappiamo naturalmente che neppure dopo la caduta nel 1989 del Muro di Berlino e il successivo allargamento delle frontiere della Ue ai Paesi ex comunisti dell’Est, l’itinerario dell'Europa è stato univoco e lineare, in quanto segnato da una continua tensione fra il possibile e l’auspicabile, fra il probabile e l’ipotetico. D’altra parte, Altiero Spinelli (scomparso trent’anni fa, il 23 maggio 1986) ben sapeva che la mèta da lui patrocinata dipendeva da una combinazione di idealismo e pragmatismo, di convinzioni etico-culturali e di sagace realismo: tanto che accantonò, nel febbraio di quell’anno, le sue forti riserve iniziali nei riguardi dell’“Atto unico europeo”, nella speranza che potesse assecondare il processo verso l’avvento di un sistema di valori condivisi e sanciti da una Carta costituzionale.

Senonché l’acqua passata da allora sotto i ponti non è confluita verso le sponde di una compagine europea caratterizzata da un sempre maggior grado di compattezza politica e in grado sia di garantire ai suoi cittadini uno sviluppo sostenibile e un adeguato livello di benessere sociale, sia di svolgere un ruolo efficace sulla scena internazionale in fatto di sicurezza contro il terrorismo e di un equilibrio mondiale multipolare.

In pratica, non solo ha finito così per dissolversi lungo la strada la prospettiva di un assetto tendenzialmente federalista, ben prima della Brexit (d’altronde Londra, per parte sua, l’aveva sempre esclusa): tanto che solamente la Banca centrale europea ha continuato ad auspicarla, essendo priva di un soggetto politico statuale di riferimento. Si è anche manifestata una crisi d’identità della Ue sempre più evidente in seguito sia all’irruzione alla ribalta quasi dovunque di movimenti nazional-populisti, sia alle vistose carenze operative in materia di sicurezza contro il terrorismo e di gestione dei flussi migratori. A non contare la persistenza di un indirizzo come quello di un’austerità contabile senza crescita economica assurto in Eurolandia a dogma tolemaico.

Perciò, nell’incontro di Ventotene, l’unico modo coerente e appropriato, e non retorico, di rievocare l’opera e i propositi dei “padri fondatori” dell’Europa è quello di un confronto concreto, senza remore e infingimenti, sui dilemmi che ormai da tempo affliggono la Ue. Altrimenti si continuerà a procedere a tentoni, senza la ricerca di adeguate soluzioni, in un clima di avvilente ripiegamento e di nevrosi paralizzante, col rischio di una diffusione dell’euroscetticismo e di tendenze disgregatrici.

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