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Il metodo Giappone per la prevenzione

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LA LEZIONE DI TOKYO

Il metodo Giappone per la prevenzione

Cartelli indicanti i piani di evacuazioni nelle città giapponesi a rischio sismico (Olycom)
Cartelli indicanti i piani di evacuazioni nelle città giapponesi a rischio sismico (Olycom)

C’è molto “terremoto” nella prima tranche della manovra di stimoli fiscali all’economia approvata ieri dal governo giapponese: un budget addizionale di spesa pubblica da 4.520 miliardi di yen (circa 45 miliardi di dollari), il secondo di quest’anno, di cui 1.960 miliardi di yen andranno a misure di prevenzione e di rilancio in seguito ai terremoti del marzo 2011 nel Tohoku e dell’aprile di quest’anno nella provincia di Kumamoto.
La prima “lezione” che viene dal Paese più esposto ai terremoti appare dunque come la più ovvia, anche se non sempre compresa: i terremoti costano e devono diventare l’occasione per non lesinare non solo nell’opera di ricostruzione, ma nella realizzazione di infrastrutture idonee ad alleviare le conseguenze dei disastri naturali. Per questo, in quasi ogni occasione di introduzione di pacchetti di sostegno all’economia giapponese, figurano stanziamenti per opere di prevenzione o di supporto per i casi di emergenze, considerati come un buon investimento.

Il Giapponè stato sorpreso quattro mesi fa dal sisma di Kumamoto (magnitudo 7.3, con una cinquantina di morti), in quanto quella provincia del Kyushu era considerata tra le meno vulnerabili del Paese, tanto da aver attirato investimenti produttivi proprio per la relativa maggior sicurezza. Nella fascia che va da Tokyo verso il sud-ovest del Paese, la probabilitàdi un terremoto disastroso (intorno a una magnitudo 8) è data dai sismologi al 70% entro i prossimi 30 anni. Una situazione che ha forzato il Sol levante a essere all’avanguardia negli studi e nelle attività finalizzare al contenimento dei danni. Va ricordato che quasi tutti i circa 19mila morti del disastro del marzo 2011 sono da attribuire allo tsunami innescato dal sisma (magnitudo 9) e non dal terremoto in sè. Gli stranieri presenti a Tokyo l’11 marzo di cinque anni fa si stupirono non solo per la forza di un sisma che fece oscillare i palazzi come birilli, ma per il fatto che subito dopo non si trovava un vetro rotto per le strade.

La principale differenza tra Giappone e Italia sta nella tipologia edilizia: nell’arcipelago tutto è antisismico e le strutture - residenziali e non - vengono rinnovate dopo poche decine di anni, tanto che il valore immobiliare è concentrato sul terreno e non su quello che ci viene costruito sopra. Quello che comunque stupirebbe i giapponesi (e non solo) come inconcepibile è che in zone ad alto rischio sismico possano esserci alberghi o altri edifici di pubblico servizio non costruiti con criteri antisismici.

Il Giappone è poi sicuramente all’avanguardia nell’educazione ad affrontare i disastri naturali: diffusa, capillare e ripetuta fin dalle scuole elementari, con momenti culminanti come le esercitazioni di protezione civile di massa che si tengono ogni primo settembre. È la data-anniversario del grande terremoto del Kanto, che nel 1923 distrusse Tokyo e Yokohama provocando circa 140mila morti (anche in questo caso, non tanto per il crollo delle abitazioni, ma per gli incendi, favoriti dalla coincidenza con l’ora di pranzo). Oggi il primo settembre è il Giorno della Prevenzione dei disastri naturali, finalizzato a non far abbassare la guardia. Di recente, con la crescita (sia pure ancora modesta) dei residenti stranieri, l’opera di educazione alla prevenzione e ai comportamenti da tenere si è estesa. A Tokyo, ad esempio, anche gli stranieri vengono invitati a minicorsi sull’emergenza e ricevono manuali in lingua inglese. Sarebbe certo un buon esempio da seguire per altri Paesi a più forte immigrazione. Nei residence di Tokyo in ogni stanza non è insolito che vengano distribuiti kit di emergenza (anche con cibarie a lunga scadenza). Ma presso ogni famiglia giapponese è normale la presenza di kit di emergenza, “aggiornati” con scrupolo.

Naturalmente, infine, il Giappone ha investito molto sulle attrezzature scientifiche e le infrastrutture tecnologiche necessarie a monitorare i movimenti della terra ed elaborare tempestivamente i dati. In caso di forti scosse, i telefonini trillano immediatamente e forniscono informazioni aggiornate. Oggi la scienza consente di “prevedere” il terremoto e dare l’allarme solo con al massimo pochi secondi di anticipo. Ancora troppo poco. Di utilità pratica più evidente sono gli allarmi-tsunami. Anche se 5 anni fa il preavviso di oltre mezzora non bastò a permettere a migliaia di persone di porsi in salvo.

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