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Fed in marcia verso la «nuova normalità»

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POLITICA MONETARIA

Fed in marcia verso la «nuova normalità»

La presidente della Fed, Janet Yellen (Reuters)
La presidente della Fed, Janet Yellen (Reuters)

Si torna alla normalità. A una “nuova” normalità. È questo il cuore del discorso della presidente della Fed, Janet Yellen. Il prossimo rialzo dei tassi ufficiali è dunque vicino, forse molto vicino; ma il futuro sarà molto diverso dal passato.
La prosecuzione della stretta iniziata a dicembre sembra ormai matura. L’economia Usa si avvicina «agli obiettivi statutari della massima occupazione e della stabilità dei prezzi», ha spiegato Yellen, aprendo le porte alle aspettative di un taglio dei tassi già nella riunione del 21 settembre. «Gli argomenti a favore di un rialzo si sono rafforzati», ha infatti aggiunto, pur ricordando che ogni decisione dipende dai dati in arrivo dall’economia.
Le indicazioni del presidente della Fed non si sono fermate qui, però. Yellen ha ribadito gli attuali obiettivi di politica monetaria: inflazione al 2%, disoccupazione al 4,8%. Oggi l’indice di inflazione core dei consumi personali - la misura preferita dalla Banca centrale Usa - è all’1,6%, e la disoccupazione oscilla da tempo intorno al 4,9% proprio mentre il tasso di partecipazione al lavoro aumenta lentamente.

Anche i dati mostrano quindi che l’economia Usa si sta avvicinando agli obiettivi (anche se il rialzo dei prezzi sembra rallentare). Il testo del discorso di Yellen, in nota, accenna a due “regole” - o meglio, a due versioni della stessa regola - per definire il livello ottimale dei tassi ufficiali, una “aggressiva” e un’altra standard, la versione originale della regola di Taylor. Svolgendo i calcoli con i numeri indicati da Yellen il risultato è chiarissimo (e abbastanza vicino nei due casi). Il livello ottimale dei tassi ufficiali è oggi tra l’1,2 e l’1,3 per cento se si ipotizza che il tasso reale neutrale - quello che permette alla crescita di restare al livello potenziale - sia allo zero per cento (0,18% secondo le ultime analisi), ma è appena al di sopra del 2% se si ipotizza che il tasso neutrale sia all’1%. La Fed sembra preferire quest’ultima stima. Oggi però i tassi Fed sono allo 0,50%, molto più in basso. I modelli matematici lasciano immaginare quindi una stretta senza rallentamenti verso il livello ottimale.

Le formule, evidentemente, non tengono conto dell’incertezza che può far bruscamente allontanare i parametri dai livelli attuali (nelle previsioni dei governatori Fed, si veda il grafico a fianco, c’è non a caso molta dispersione). Questo fattore spiega in parte perché la stretta sarà graduale. Yellen ha comunque insistito sul fatto che la tendenza dell’inflazione a salire e quella della disoccupazione a restare stabile malgrado il continuo ingresso sul mercato di persone in cerca di lavoro sembrano ora consolidate.
Il punto di arrivo dei tassi ufficiali non è lontanissimo: intorno al 2,8% in base alla regola fornita da Yellen, intorno al 3% (con un range tra il 2,75% e il 3,75%) nelle proiezioni elaborate dai governatori Usa a giugno: questo è il livello ottimale con un’inflazione al 2%. Non è un livello alto. Se poi fosse vera l’ipotesi che il tasso reale neutrale è a zero il livello ottimale teorico scenderebbe addirittura all’1,8%. Nel 2004 i governatori indicavano come obiettivo un livello tra il 3,5 e il 5,5%: la crisi - e non solo quella - ha lasciato il segno.

Questo significa che, in caso di una nuova recessione, o comunque di nuove difficoltà dell’economia, la Fed potrà tagliare i tassi molto poco. Dovrà quasi subito far ricorso al quantitative easing e alla forward guidance, la “promessa” - condizionata alla situazione dell’economia - che i tassi resteranno a un certo livello o seguiranno un certo percorso. I due strumenti “non convenzionali” diventeranno quindi sempre più standard (gli acquisti di titoli, in realtà, sono sempre stati parte dell’attività normale della Fed).
Anche la Fed, come la Bce e altre banche centrali, deve allora chiamare in aiuto altre forme di politica economica: la politica fiscale - i cui effetti non sono però né chiari né garantiti - e le riforme strutturali per aumentare la produttività. La politica monetaria non arriva ovunque; e forse può far meno di quanto si pensi.

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