Le multinazionali, e in particolare quelle della Digital Economy, sono finite da alcuni anni nel mirino delle amministrazioni fiscali e delle procure per l’alta propensione a “spostare” la propria base imponibile dai Paesi ad alta fiscalità verso giurisdizioni con pressione fiscale bassa o nulla. Nell’ambito delle azioni di contrasto alle politiche di pianificazione fiscale aggressiva Unione europea, Ocse e G-20 hanno promosso un progetto normativo denominato Beps (Base Erosion and Profit Shifting) diretto a stabilire regole uniche e trasparenti condivise a livello internazionale.
Lo scontro tra Fisco e multinazionali ha avuto in Italia come protagonisti Google, Amazon, Apple e Ryanair, mentre Microsoft avrebbe avviato con l’agenzia delle Entrate una procedura di ruling internazionale per la determinazione dei prezzi di trasferimento infragruppo, in maniera da tenersi al riparo da sgradite sorprese. A finire sotto la lente degli 007 del Fisco sono, appunto, i modelli organizzativi delle multinazionali che “dirottano”, sfruttando le lacune della normativa fiscale domestica, i propri ricavi verso le sedi aperte in paesi a fiscalità privilegiata.
Le stabili organizzazioni
L’attenzione dell’amministrazione finanziaria è rivolta, in primo luogo, a “intercettare” le stabili organizzazioni. Come nel caso di Google Italy, si punta a riqualificare la tipologia di business di quelle aziende globali che hanno sede all’estero e operano nella Penisola con diramazioni non autonome o mere rappresentanze fiscali. In questo modo, i ricavi maturati vengono trasferiti oltreconfine e la quota di fatturato su cui si versano le imposte in Italia è ridotta al minimo. Per il Fisco italiano, al contrario, l’attività del Gruppo come la raccolta della pubblicità online viene svolta stabilmente in Italia. La prime ispezioni a Google sono state effettuate dalle Fiamme Gialle nel 2007. La GdF aveva contestato il fatto che la società di Mountain Viewra fra il 2002 e il 2006 non avrebbe dichiarato redditi per 240 milioni, né versato l’Iva per oltre 96 milioni. Secondo un’indagine della Procura di Milano del 2013 invece Apple avrebbe sottostimato di 206 milioni di euro l’imponibile del 2010 e di altri 853 milioni quello del periodo d’imposta 2011.
Il transfer pricing
In secondo luogo, le contestazioni del Fisco attengono al transfer pricing, vale a dire alle politiche dei prezzi dei servizi o dei beni acquistati e venduti tra le strutture italiane e le altre società del gruppo con sede all'estero che determinano di fatto una riduzione della base imponibile italiana.
L’amministrazione finanziaria sta verificando i contratti tra le realtà italiane e le società dello stesso Gruppo residenti in altri paesi per confrontare i prezzi praticati dalla casa-madre rispetto a quelli praticati sul mercato per le stesse operazioni tra soggetti indipendenti.
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