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La «filiera senza confini» per la nuova Industria 4.0

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Europa

La «filiera senza confini» per la nuova Industria 4.0

  • –Paolo Bricco

Industry 4.0 non è una semplice formula di marketing da pronunciare sotto l’ombrellone estivo o uno slogan buono per i convegni autunnali. Industry 4.0 è un progetto di politica industriale e di autorigenerazione di una manifattura europea che deve riqualificare la sua produttività. Una nuova idea di fabbrica – fra la digitalizzazione totale dei processi, l’incremento della smaterializzazione e il drastico avvicinamento della fase produttiva ai bisogni del cliente – che nasce in Germania e che, in Europa, ha nell’Italia l’altro tessuto produttivo nazionale a maggiore potenzialità di sviluppo e di diffusione. Una doppia dimensione geografica – la Germania e l’Italia – che rinsalda il binomio dei due Paesi, oggi guidati da Angela Merkel e da Matteo Renzi, che più confermano la vocazione manifatturiera di un’Europa che, nella sua specializzazione produttiva e nel suo profilo culturale e civile, non ha mai rinunciato al paesaggio industriale quale orizzonte per gli occhi suoi e dei suoi figli.

In Germania, si opera su questo versante in maniera sistemica e pervasiva da quasi 15 anni. Oggi oltre la metà delle 6mila imprese industriali con oltre 100 milioni di euro di ricavi all’anno ha effettuato investimenti – o li sta perfezionando – in Industry 4.0. Nella prima fase, hanno fatto molto i grandi gruppi: per esempio Bmw, Bosch e Siemens. Negli ultimi anni sono intervenute le medie imprese. Nel segmento dimensionale compreso fra i 200 milioni e i 600 di euro di ricavi all’anno, ci sono 300 società impegnate a elaborare progetti strutturati che recepiscono gli elementi di questo nuovo codice tecno-industriale e strategico manageriale: i big data, la cybersecurity, la realtà aumentata, il cloud computing, la robotica, la connessione degli impianti, la prototipazione in 3D, la radio frequency identification e l’additive manufacturing (ossia la stampa in 3D). La mano pubblica tedesca, che in questi oltre dieci anni di analisi ponderata si è avvalsa delle competenze di fabbrica della società di consulenza Roland Berger, ha predisposto un budget iniziale per Industry 4.0 di 200 milioni di euro. In realtà, il denaro movimentato è molto di più. Secondo Roland Berger, fra gli incentivi dei Länder e gli stanziamenti statali, le linee di credito bancario e il Piano Juncker, l’autofinanziamento delle imprese e i bond societari, la somma complessiva – da qui al 2030 – sarà compresa fra i 18 e i 20 miliardi di euro.

In Germania, dunque, Industry 4.0 è già una realtà consolidata e in fase di profonda espansione: secondo Boston Consulting Group, i tre quarti degli imprenditori tedeschi giudicano che grazie ad essa ci saranno al contempo un aumento della produttività e un abbassamento dei costi.

In Italia, la consapevolezza della sua importanza – fra la classe dirigente imprenditoriale, i vertici della politica e l’alta burocrazia ministeriale – è più recente. E, naturalmente, è declinata secondo le caratteristiche di un tessuto imprenditoriale con una specificità ben precisa: la prevalenza della piccola e media impresa, che rende l’Italia paragonabile ma non sovrapponibile – nella sua ricerca di una via efficace all’Industry 4.0 – alla Germania. Tuttavia, il terreno in cui Industry 4.0 ha attecchito appare estremamente favorevole: non solo sotto il profilo intellettuale e di policy, ma anche nella dimensione progettuale e fattiva di fabbrica. Prima di tutto perché la dimensione già manifestata e la vocazione ancora tutta da esprimere del nostro tessuto produttivo, dei suoi territori e delle sue filiere – come sta raccontando l’inchiesta in corso da agosto sulle pagine di questo giornale – appaiono caratterizzate da quelle attitudini che costituiscono le radici e le ragioni della rivoluzione di Industry 4.0: dalla tendenza alla smaterializzazione dei processi all’innovazione radicale, dall’innovazione di processo alla capacità di interiorizzare nel cuore della fabbrica i bisogni che stanno nei cuori dei consumatori. Il terreno italiano per Industry 4.0 appare fertile anche grazie alla costruzione di una serie di policy che in autunno dovrebbero avere contorni nitidi e piena operatività, assecondando tutte le specificità italiane, in un contesto normativo costruito dal ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda e condiviso con quello delle Finanze Pier Carlo Padoan e con quello dell’Istruzione Stefania Giannini. Per esempio, questa estate si è parlato di un superammortamento ad hoc superiore al 200% (rispetto al 140% ordinario) per una serie di investimenti digitali ben definiti, di una parte del Fondo rotativo per il sostegno alle imprese e di un plafond di 2 miliardi di credito bancario con tasso ridotto grazie a contributi statali, il tutto indirizzato su Industry 4.0.

In un contesto così dinamico, la Germania non è un totem. Anche se Industry 4.0 – pur nelle diverse modulazioni – può diventare – con la sua idea di fabbrica intelligente che rompe le barriere fisiche e che contribuisce a creare un organismo pulsante e trasversale, diffuso e iperconnesso - un ulteriore elemento di integrazione fra i due sistemi industriali: basti pensare che, secondo la banca dati Made in The World di Oecd-Wto, il valore aggiunto italiano contenuto nei prodotti tedeschi è pari al 6,4% e che il valore aggiunto tedesco nei beni italiani è pari al 13,8 per cento. Siamo indispensabili gli uni agli altri.

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