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Il rischio di elencare i problemi senza risolverli

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L'Analisi|il commento

Il rischio di elencare i problemi senza risolverli

Fra una cinquantina d'anni, seppure a margine dei loro libri come si fa per gli eventi destinati a non lasciare il segno, qualche storico dovrà spiegare cosa erano i G20. Sarà difficile trovare la definizione giusta fra l'irrilevanza e, nel migliore dei casi, l'assemblearismo globale che elenca i problemi del tempo ma non ne risolve davvero nessuno.

Il faraonico summit di Hangzhou sarà ricordato per essere stato il primo in Cina. Ma il grande diverbio su barriere e/o liberalizzazioni doganali, sulla grande crisi che non si risolve e che a livelli variabili non risparmia nemmeno i paesi storicamente in crescita, sullo squilibrio fra primo e terzo mondo e su quelli ancor più gravi fra ricchi e poveri all'interno degli stessi mondi, sul disordine geopolitico incapace di dire qualcosa perfino su un evidente e inutile massacro come quello siriano. Su tutto questo, dicevamo, il mondo del giorno dopo Hangzhou resta uguale a quello del giorno prima.

E' venuto il momento di evitare «discorsi vuoti» aveva detto Xi Jinping l'altro giorno, inaugurando il suo G20. Lo stesso presidente cinese che non ha ancora chiarito a se stesso se il suo modello di crescita prevede un paese protetto da muraglie doganali o più aperto alla concorrenza globale. Ma non poteva che essere così in un G20 – già di per se troppo affollato per prendere decisioni importanti e soprattutto condivise – che in realtà era un G21 perché la Ue era rappresentata dal presidente del Consiglio e da quello della Commissione: giusto per ricordare al resto del mondo che la nostra continua ad essere un'Unione a sovranità limitata dalla sovranità dei singoli stati.

Già con questi esempi sarebbe difficile immaginare un processo decisionale efficace. Ma ad essere pedanti, il G21 era in realtà un G37: comprendeva anche otto paesi ospiti e otto organismi multilaterali. In tempi di populismo come questi, è impopolare parlare male dei modelli assembleari. Ma in Cina, come nel precedente vertice e come sarà anche nel prossimo, erano in troppi per evitare la fiera delle vanità e delle preoccupazioni nazionali, ed occuparsi invece delle soluzioni comuni.

Mancavano i veri protagonisti, come accade da tempo sulla scena mondiale sia economica che politica. Tecnicamente Barack Obama non è ancora un'”anatra zoppa”: il presidente degli Stati Uniti lo diventa nella fase fra l'elezione del suo successore, il primo martedì di novembre e il suo insediamento, a gennaio. Ma a due mesi dal voto è evidente che Obama fosse già guardato come il passato dai suoi interlocutori, interessati a guadagnarci qualcosa in questa fase dedebolezza fra un presidente alla fine e un altro che la campagna elettorale presenta come un comandante in capo piuttosto incerto: ci riferiamo a Hillary Clinton. Se il presidente diventasse invece Donald Trump, sarebbe una catastrofica incertezza, forse nemmeno auspicata dai concorrenti e dai nemici degli Stati Uniti.

Così è difficile cogliere l'interesse collettivo, quello dell'intera umanità, nei cosiddetti accordi sul clima, sull'acciaio, sul petrolio e su ogni altra questione aperta nei mercati mondiali. Per quanto la loro scarsa chiarezza sia voluta per impedire a qualcuno di dichiarare vittoria, sembra evidente che gli interessi nazionali o di blocchi di nazioni abbiano preso il sopravvento.

Una volta, quando decidevano d'incontrarsi, russi e americani facevano per conto loro: e se decidevano di parlarsi era per prendere decisioni che riguardavano i destini del mondo. Oggi i loro colloqui avvengono ai margini del G20, fra un centinaio di altri bilaterali. Fatalmente, Obama e Vladimir Putin non hanno trovato nessun compromesso per fermare il massacro siriano. Scarsa fiducia, ha ammesso il presidente americano. Ma quello che lui né Putin potevano dire è che in Siria e ovunque nel mondo l'uno né l'altro non hanno amici né alleati che li ascoltino. Non possono imporre paci né vincere guerre.

Ed è questa, in fondo, la cosa più grave dell'inutile G20: più degli egoismi economici è l'incapacità di creare un nuovo ordine mondiale nel quale anche i primi – gli interessi economici – possono essere edulcorati in un mercanteggiare virtuoso. Mancano leader, insomma. E così ogni partecipante nei suoi interventi corali e bilaterali, è tornato ai suoi problemi di casa. Che non sono da poco, ma restano locali più che comuni. Sull'Europa incombe sempre di più il populismo più nazionalista di destra che di sinistra. Sia Angela Merkel che Matteo Renzi ne hanno parlato con preoccupazione, pensando al futuro del continente. Avranno tuttavia fatto caso che anche al G20 i populisti li circondavano, primo fra tutti il loro interlocutore principale, Vladimir Putin. O il padrone di casa Xi che ha trasformato il vertice in un'esercitazione di grandeur cinese. E perché la coreografia fosse perfetta, aveva pagato ferie straordinarie alla grande maggioranza dei quasi tre milioni di abitanti di Hangzhou, perché si togliessero di mezzo.

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