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Obama in Laos, prima volta di un presidente Usa

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Asia e Oceania

Obama in Laos, prima volta di un presidente Usa

  • –Gianluca Di Donfrancesco

Barack Obama scrive un altro capitolo della storia americana e aggiunge l’ultimo tassello alla sua campagna d’Oriente. La visita iniziata ieri in Laos lo rende il primo presidente statunitense in carica a mettere piede in quello che è uno degli Stati più poveri del Sud-Est asiatico, baluardo del comunismo e sul quale, nell’escalation del conflitto in Vietnam, gli Stati Uniti sganciarono 2 milioni di tonnellate di bombe tra il 1964 e il 1973, una ogni 8 minuti per 9 anni, secondo i calcoli delle autorità laotiane.

Obama è arrivato a Vientiane direttamente dal vertice del G20 di Hangzhou in Cina, per seguire il summit dell’Associazione dei Paesi del Sud-Est asiatico (Asean), che si svolge nella capitale del Laos, presidente di turno. Accolto dal presidente Bounnhang Vorachit, ha tenuto un discorso nella Lao national cultural hall, dove, davanti a 1.100 persone, è arrivato a un soffio dallo scusarsi ufficialmente per gli oltre 580mila bombardamenti aerei compiuti dall’aviazione a stelle e strisce: «Data la nostra storia qui, credo che gli Stati Uniti abbiano il dovere morale di aiutare il Laos a guarire», ha affermato. E ha promesso 90 milioni di dollari nei prossimi tre anni per ripulire terreno (e coscienza) dai residui di quella guerra “non ufficiale”: circa 80 milioni di bombe a grappolo inesplose che continuano a mutilare e uccidere. Negli ultimi 20 anni, Washington ha già stanziato 100 milioni di dollari per questo fine.

Il viaggio in Laos si pone quindi nel solco delle recenti tappe ad Hanoi, da dove Obama annunciò la revoca dell’embargo sulle armi contro il Vietnam, e a Hiroshima, dove fu, anche in quell’occasione, il primo presidente Usa a visitare il simbolo dell’olocausto nucleare. Quello in corso è il suo decimo tour in Asia e probabilmente l’ultimo nelle vesti di «leader del mondo libero», come l’iconografia statunitense ama descrivere l’inquilino della Casa Bianca.

La visita suggella così la strategia «Pivot to Asia» perseguita dalla Casa Bianca dal 2011 per porre il Pacifico al centro della propria politica estera, intrecciando una rete di relazioni e alleanze militari, economiche e commerciali (a partire dalla Trans pacific partnership) in grado di difendere gli interessi di Washington e contenere l’avanzata di Pechino. Che, per esempio, proprio in Laos investe 7 miliardi di dollari per una linea ferroviaria ad alta velocità. E visto che ormai è pur sempre un presidente in scadenza, Obama ha voluto assicurare che «gli interessi americani in Asia non sono una moda passeggera» e che l’impegno di Washington non scemerà quando alla Casa Bianca arriverà il suo successore.

Nel viaggio di Obama non sono mancate spine. A parte le solite provocazioni della Corea del Nord, con il lancio di tre missili nel mar del Giappone, è arrivato anche lo scontro a distanza con il capo di Stato filippino Rodrigo Duterte, che lunedì ha dato al presidente statunitense del «figlio di puttana» per le perplessità espresse sulle oltre 2.400 persone morte nella sua guerra ai narcos. Obama ha così annullato il bilaterale in programma con Duterte, che ieri si è affrettato a scusarsi. Difficile, tuttavia, che l’incidente diplomatico possa trasformarsi in una crisi tra due storici alleati, perfettamente allineati contro Pechino sulla disputa territoriale, delicatissima anche per il vertice Asean in corso, nel Mar della Cina meridionale. Proprio Manila nel 2013 avviò il ricorso al Tribunale dell’Aja che ha di recente bocciato le pretese cinesi su rotte solcate ogni anno da 5mila miliardi di dollari di merci. Nel 2016, gli Stati Uniti stanzieranno 110 milioni di dollari di aiuti militari alle Filippine.

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