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Da Draghi messaggio per Berlino: agisca su spesa, surplus e salari

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L'Analisi|L’analisi

Da Draghi messaggio per Berlino: agisca su spesa, surplus e salari

Non cambia nulla, per ora. Presto però il quantitative easing (Qe) sarà completamente rivisto, se non altro nei suoi aspetti tecnici. È questo il messaggio principale che Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, ha voluto lanciare nella conferenza stampa dopo la riunione del board di settembre, insieme a un invito alla Germania a fare maggiori sforzi su spese pubbliche e salari. È stato dato mandato allo staff dell’Eurosistema di studiare tutte le opzioni per assicurare che il programma del Qe prosegua senza intoppi «nella nuova costellazione dei tassi, che ha chiaramente ristretto l’universo dei titoli eleggibili», ossia acquistabili. Il mandato è pieno: tutto potrà essere rivisto, compreso il nesso tra i limiti agli acquisti di bond di ciascun paese e la quota posseduta nel capitale della Bce (il capital key).

La Bce ha quindi deciso di aspettare. Sia a proposito degli aspetti tecnici del Qe, ma anche su quelli più propriamente politici: non ha solo mantenuto l’ammontare mensile a 80 miliardi (ad agosto però, per motivi diversi, ne sono stati acquistati solo 60 miliardi), ma non ha esteso il Qe oltre marzo 2017, come invece si aspettavano i mercati, non a caso molto nervosi dopo l’annuncio. Draghi ha ripetuto più volte che, da sempre, la Bce ha precisato che il Qe potrà andare anche «oltre, se necessario», la scadenza prefissata, ma non c’è stato alcun accenno all’intenzione o alla necessità di prolungarlo davvero. Così come non è stata discussa dal board l’idea, emersa tra analisti e osservatori, di estendere gli acquisti anche alle azioni.

Draghi ha però ripetuto più volte che le attuali attese su crescita e inflazione, contenute anche nelle previsioni di settembre, si basano sull’idea che le condizioni finanziarie dell’Eurozona restino espansive a lungo. Non sembra un annuncio compatibile con una fine (al momento, per altro, brusca) del Qe tra soli sei mesi, ma non è neanche l’annuncio dell’intenzione di rivedere quella scadenza. Draghi ha sottolineato che «la valutazione è stata che per il momento le variazioni non erano notevoli al punto da richiedere una decisione». Le previsioni dello staff della Bce puntano a una crescita appena più lenta - rispetto alle proiezioni di giugno - nel 2017 e 2018 («una crescita a ritmi moderati ma stabili», spiega il comunicato ufficiale della Bce), e un’inflazione più lenta l’anno prossimo (1,2% invece dell’1,3%) ma ferma nel 2018 (1,6%).

Il presidente ha quindi potuto sottolineare che l’inflazione sta seguendo il suo scenario di base, anche se è più lenta, «ma non troppo», del previsto. Nello stesso tempo, però, ha citato l’analisi introduttiva di Peter Praet, il capo economista della Bce, secondo il quale - al di là dell’effetto base sul petrolio , che è statistico e non economico - «il trend sottostante ai prezzi continua a non dare segnali di ripresa convincenti e questo rappresenta ancora una fonte di preoccupazione». L’attuale politica monetaria potrà avere del resto, da oggi e per tutto l’orizzonte delle proiezioni (fino al 2018, quindi), un effetto cumulato pari a 0,6 punti percentuali sulla crescita del Pil e a 0,4 punti sull’inflazione.

Non è molto, e sorprende il fatto che la Bce non abbia deciso di agire subito. Non stupisce invece che Draghi abbia chiesto di nuovo aiuto alla politica fiscale e alle riforme strutturali. Questa volta lo ha fatto però con accenti nuovi. Ha chiesto alla Germania, che ha «spazio fiscale» per intervenire, di spendere di più. Ha poi aggiunto che un surplus commerciale più basso verso l’Eurozona sarebbe preferibile, anche se ha spiegato che non è facile ridurlo - «non basta premere un bottone, non è un’economia pianificata» - se non attraverso gli strumenti fiscali.

“Un surplus commerciale tedesco più basso verso l’Eurozona sarebbe preferibile, anche se Draghi ha spiegato che non è facile ridurlo se non attraverso gli strumenti fiscali”

 

Non basta. Dopo aver ricordato che i salari sono il frutto di rapporti di forza - un’analisi dagli accenti quasi ricardiani - ha invocato, in una domanda sulla Germania, retribuzioni più alte. «Le argomentazioni a favore di una crescita più rapida dei salari sono incontestabili», ha detto, senza far riferimento all’andamento della produttività a cui le retribuzioni dovrebbero essere legate (e lo sono, per esempio, in Italia).

Uno dei motivi di questa presa di posizione è tutto legato alla politica monetaria. Le aspettative di inflazione che la Bce dovrebbe governare , non sono astratte previsioni, ma assumono un ruolo economico preciso: incidono sui tassi d’interesse nominali, che oggi sono molto bassi anche per gli interventi della stessa Bce, e sull’andamento dei salari. Se la crescita delle retribuzioni rallenta - in Germania è ai minimi - il segnale non è positivo, come non è positivo il fatto che le misure di mercato di queste aspettative sembrano - secondo un’analisi degli economisti della Bce - disancorarsi. Un fenomeno, questo, «non facile da spiegare», secondo Draghi, e che dovrebbe far molto riflettere.

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