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Juncker apre a una maggiore flessibilità

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Europa

Juncker apre a una maggiore flessibilità

  • –Vittorio Da Rold

Con una crescita europea che fa fatica a ripartire in un quadro globale di stagnazione – come indicato anche ieri dalla Bce di Mario Draghi che ha invitato i governi, Germania in testa, a fare la loro parte – il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker guarda con crescente favore alla possibilità di sfruttare, se non ampliare, tutti i margini di flessibilità messi a disposizione dalle attuali regole di bilancio nei conti pubblici.

Juncker, che ha dato il nome a un piano di investimenti europei da 300 miliardi di euro, sente con urgenza la necessità di dare risposte concrete alla crisi economica. Un tema quello della flessibilità che sta a cuore all’Italia (ma non solo) e che potrebbe essere toccato in maniera più o meno esplicita martedì prossimo, quando Juncker pronuncerà il suo discorso annuale sullo “Stato dell’Unione” davanti all’assemblea plenaria dell’Europarlamento a Strasburgo.

Questa l’indicazione che filtra da palazzo Berlaymont nonostante la consegna del riserbo. Le indiscrezioni si sono spinte fino a ipotizzare una richiesta, da parte del presidente della Commissione, di modifiche dirette del Patto di stabilità e crescita che venne “congelato” in passato quando lo richiesero la Francia di Jacques Chirac e la Germania di Gerhard Schroeder impegnato in importanti riforme strutturali nel mercato del lavoro che però stentavano a dare i loro frutti. Cambiamenti destinati in primis a intervenire su calcolo del rapporto deficit-Pil (il famoso 3%) escludendo, ad esempio, le spese per l’istruzione e quelle per investimenti (la cosiddetta “Golden Rule”). Maastricht venne deciso in un altra epoca storica quando non si parlava certo di “stagnazione secolare”, calo demografico e della produttività come ricorda lo storico dell’economia, Robert Gordon.

«La riflessione prosegue – osservano fonti Ue – ma c'è il rischio che un’esplicita richiesta per modificare le regole possa suscitare reazioni contrarie talmente forti, specie in vista degli appuntamenti elettorali nei singoli Paesi, da far naufragare subito l’idea. Più probabile un approccio “soft” pronto a sfruttare tutti i margini di manovra già possibili attraverso l’interpretazione dalle attuali norme».

La strada della “realpolitik” comunitaria in materia di conti pubblici è già tracciata in chiave neokeynesiana. A partire dai due anni supplementari concessi in primavera alla Francia per rientrare da deficit e dalla decisione più recente di non applicare multe a Spagna e Portogallo per non aver rispettato gli impegni presi con l’Ue sul risanamento dei bilanci statali.

È prevedibile che anche stavolta la linea Juncker (storicamente favorevole alla flessibilità) dovrà superare il duello tra falchi e colombe presenti all’interno della Commissione. Con il vicepresidente per l’euro Valdis Dombrovskis, (che si vanta di aver salvato il suo paese con l’austerità tralasciando il fatto che la maggior parte del Pil lettone deriva dall’export e non dai consumi interni), schierato a capo della linea di difesa del rigore. E i commissari per l’economia e gli affari sociali, rispettivamente Pierre Moscovici e Marianne Thyssen, pronti ad appoggiare il presidente.

Appare evidente, come ribadito dall’ex presidente della Commissione, Romano Prodi, che a suo tempo ebbe a dire in una famosa intervista a «Le Monde» che «il Patto di stabilità era stupido», che per rilanciare la crescita e rispondere a un populismo e un euscetticismo crescenti sia necessario un cambio di marcia delle politiche economiche Ue. E martedì tutti i riflettori saranno puntati su Juncker per ascoltare se riuscirà a dare una svolta alla politica economica europea.

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