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La difficile partita con Bruxelles fra debito e deficit aggiuntivo

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L'Analisi|Europa

La difficile partita con Bruxelles fra debito e deficit aggiuntivo

Non più solo flessibilità via riforme e investimenti, quanto piuttosto un margine diretto sul deficit 2017 che passerebbe - in caso di via libera da parte di Bruxelles - dal programmato 1,8% al 2,3-2,4 per cento. È la strada (al momento in salita) che il Governo sta sondando. Ma il nodo principale resta il debito. E lo sta facendo, per la verità già da alcune settimane, attraverso i consueti canali diplomatici tra gli uffici dell’Economia e quelli della Commissione, in vista della presentazione il prossimo 27 settembre della Nota di aggiornamento del Def. La partita è aperta, e investe per ora non direttamente le “clausole” previste dalla Comunicazione della Commissione Ue del gennaio 2015, di cui hanno beneficiato i conti del 2016. Si lavora nelle pieghe dei più recenti orientamenti di Bruxelles, che al momento sembrano convergere verso l’applicabilità delle stesse clausole per un solo anno.

Più in generale sul tema della flessibilità la sensazione è che porte non siano del tutto chiuse, anche alla luce della posizione espressa ieri dal presidente dell’esecutivo comunitario, Jean Claude Juncker. Cautela ma sostanziale apertura all’utilizzo “flessibile” del Patto di stabilità, declinato in vario modo se pur con diversi ostacoli all’orizzonte, come mostra l’omissione nel discorso sullo stato dell’Unione proprio di questo punto, espresso invece con maggiore determinazione nel testo scritto.

Vi è da tener conto della posizione dei “falchi” della Commissione, e alla fine la valutazione sarà tutta politica. Per noi lo 0,5% di deficit in più, comprensivo di un eventuale, residuo margine della clausola per investimenti, equivarrebbe a uno spazio di manovra di oltre 8 miliardi (9,6 miliardi se si arriverà al 2,4%), da attribuire al peggioramento del ciclo economico, ma anche alle nuove emergenze da affrontare, in primis il dopo terremoto. Lo ha ribadito il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: le previsioni di crescita saranno riviste al ribasso con l’aggiornamento al Def. Problema per quest’anno, poiché il Pil si attesterà nei nuovi dati previsionali non oltre lo 0,8-0,9%, contro l’1,2% della stima primaverile (con il conseguente scivolamento del deficit al 2,4%), ma soprattutto per il 2017. L’obiettivo dell’1,4% pare fuori portata, soprattutto alla luce dell’andamento del ciclo internazionale, tanto che si prevede quota 1,1 per cento (stima probabilmente ottimistica).

Ecco dunque il primo argomento che si tenterà di far valere in sede di trattativa con Bruxelles: l’aumento del deficit è diretta conseguenza della frenata del Pil. Non il ricorso esplicito alle circostanze eccezionali previste dal Patto di stabilità, che parlano di grave, prolungata fase recessiva, quanto il richiamo all’impatto della minore crescita sui conti pubblici. Argomento da far valere anche per quel che riguarda il debito, accanto all’altra, decisiva aggravante: l’inflazione vicina allo zero. Discesa verticale dei prezzi – questa la tesi dell’Economia – che non è attribuibile a cause interne ma a variabili esogene fuori dal controllo del governo (l’andamento del prezzo del petrolio, il rallentamento dell’economia globale e dei paesi emergenti in particolare).

Sul debito la partita si prospetta più complessa, poiché nell’ottenere flessibilità per circa 14 miliardi a beneficio dei conti del 2016 il Governo si era impegnato la scorsa primavera a realizzare una sia pur minima inversione di tendenza già quest’anno (dal 132,7 al 132,4% del Pil). Ora si va configurando lo slittamento al 2017, e il rinvio esporrebbe sulla carta l’Italia al rischio di una procedura di infrazione per eccesso di squilibri macroeconomici. Non pare questo il mood politico prevalente in Europa, come mostra la decisione assunta in luglio per Spagna e Portogallo (procedura di infrazione per deficit eccessivo ma “sospensione” delle sanzioni). Senza dimenticare che la Francia chiuderà quest’anno al 3,4 per cento.

E tuttavia occorre massima vigilanza, proprio perché il debito dell’Italia continua viaggiare al di sopra del 130% del Pil, mentre la Francia è al 96,4%, la Spagna al 100,3% e il Portogallo al 126%, e la Germania è al 68,6 per cento. Quanto all’altro decisivo parametro (il deficit strutturale), l’aspettativa del Governo è che entro fine anno giunga a conclusione il lavoro di revisione a Bruxelles sui criteri di determinazione dell’output gap. Al momento, vi è da far i conti con l’invito rivolto in maggio dalla Commissione a «conseguire un aggiustamento annuo di bilancio verso l’obiettivo a medio termine pari ad almeno lo 0,6% del Pil nel 2017». In sostanza una correzione dei saldi per 9/10 miliardi. Richiesta motivata dalla constatazione che nel 2016 si registra un peggioramento del saldo strutturale di 0,7 punti (11 miliardi).

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