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Una Fed più colomba e più divisa

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L'Analisi|L’ANALISI

Una Fed più colomba e più divisa

Più morbida, ma anche più divisa. La riunione di settembre della Federal reserve fa emergere un orientamente decisamente più “dovish” per il futuro anche lontano dell’economia Usa, ma anche una maggior divergenza di opinioni tra i componenti del Comitato che decide la politica monetaria, il Fomc. Tre governatori - sui cinque possibili “falchi” individuati dagli analisti - hanno votato contro la decisione di mantenere fermi i tassi, perché avrebbero preferito un rialzo allo 0,75%: a Esther George - che da tempo propone una stretta più rapida - si sono aggiunte Loretta Mester e Eric Rosengren ma non gli altri due possibili falchi: James Bullard e il vicepresidente Stanley Fischer .

La divisione non riguarda però solo i voti di settembre. Sono le proiezioni sull’andamento dei tassi nel futuro a mostrare che i governatori hanno idee sempre più diverse sulla situazione e sulla struttura dell’economia americana e quindi sul punto di arrivo della “normalizzazione” del costo ufficiale del credito. Continua ad aumentare, sia pure leggermente, la dispersione delle previsioni sui tassi per l’anno prossimo, mentre quella sui tassi “di lungo periodo” - in sostanza l’obiettivo della politica monetaria - sale più rapidamente.

Nel complesso, però, l’orientamento dei governatori sembra sempre più orientato a mantenere a lungo una politica espansiva. Se è normale che ora si punti, per fine anno, a un tasso tra lo 0,50% e lo 0,75% - il rialzo di dicembre è possibile, ma non è scontato... - è sicuramente una novità il fatto che il costo del credito indicato per fine 2017 sia stato visibilmente ridotto: la media delle previsioni dei governatori è passata all’1,30%, dall’1,63% di giugno (all’1,125% dall’1,625%, invece, la mediana). Per il 2018 le previsioni puntano ora al 2,11%, dal 2,46% (1,875% la mediana, dal 2,375%). È una brusca revisione al ribasso delle proiezioni (evidente anche nella moda dei dati). Un componente del board crede addirittura che i tassi si fermeranno allo 0,625% per i prossimi tre anni...

Le proiezioni di settembre contemplano per la prima volta anche il 2019, alla fine del quale i tassi sono previsti al 2,64% (2,625% la mediana): è un livello più basso rispetto a quello indicato a marzo 2016 per la fine del 2018. Per il lungo termine, invece, ora si punta al 2,90%, contro la media di giugno di 3,14% (al 2,875%, dal 3% la mediana).

Questi numeri segnalano una revisione profonda della valutazione delle condizioni strutturali dell’economia americana. Il comunicato segnala che «le argomentazioni per un rialzo dei tassi si sono rafforzati», ma è una considerazione che evidentemente riguarda soltanto la tempistica del prossimo ritocco dei tassi.

Le proiezioni su crescita, inflazione sostengono la revisione delle proiezioni per il lungo periodo: a causa della lenta dinamica della produttività, la crescita nel longer run è stata rivista all’1,8% dal 2%, segnalando quindi una trasformazione strutturale dell’economia più forte di quanto si fosse pensato finora. La presidente Janet Yellen, in conferenza stampa, ha precisato così che l’orientamento della politica monetaria è ora considerata solo «modestamente espansiva», malgrado tassi allo 0,25%-0,50%.

Meno chiaro è perché i tassi non sono stati alzati a settembre e potrebbero non salire neanche a dicembre. Le correzioni alle previsioni sono state minime, e non segnalano un peggioramento delle prospettive di medio periodo. Anzi Yellen ha spiegato che l’inflazione dovrebbe salire a un livello compreso tra il 2% e il 3% nei prossimi anni, superando quindi l’obiettivo del 2%.

La stessa presidente, ad agosto, aveva indicato come calcolare teoricamente (in base alla regola di Taylor) il livello “ottimale” dei tassi di interesse oggi e, svolgendo i calcoli in base alle sue indicazioni, si giunge - sulla base di un tasso neutrale allo 0,18%, come stima una ricerca Fed - a un costo ufficiale del credito superiore all’1%, comparabile a quello previsto a fine 2017 e - sulla base invece un tasso neutrale all’1% - a un costo ufficiale del credito addirittura del 2%.

Le indicazioni della Fed si giustificano allora solo ipotizzando che i banchieri centrali americani diano molto peso all’incertezza attuale - anche a proposito delle aspettative di inflazione nelle quali si è assistito, ha detto Yellen, a qualche «scivolamento» - e, allo stesso tempo, abbiano ulteriormente rivisto al ribasso il livello neutrale dei tassi. Sono ipotesi che, se risultassero vere, sarebbero comunque molto forti. Trovano una loro fonte nella continua debolezza degli investimenti privati che però - è il «piccolo sporco segreto degli economisti» - rispondono pochissimo al livello del costo del credito.

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