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«Gli aerei a terra»: Kerry tenta l’ultima chance per la tregua

Il segretario di stato Usa, John Kerry (AFP PHOTO / Matthew Healey)
Il segretario di stato Usa, John Kerry (AFP PHOTO / Matthew Healey)

«Senza un cessate il fuoco in Siria ci saranno più morti e più sofferenza, su scala ancora più grande. Chi pensa che il conflitto non possa peggiorare sbaglia di grosso». L’amara riflessione del segretario di Stato americano, John Kerry, è purtroppo supportata dai fatti.

Da quando -lunedì - l’accordo di cessate il fuoco, concordato da Stati Uniti e Russia, è saltato, i combattimenti e i bombardamenti hanno ripreso con un’intensità che si è vista poche volte negli ultimi cinque anni di guerra. A farne le spese sono soprattutto i civili, e gli operatori umanitari impegnati ad alleviare le loro sofferenze. Ecco perchè il segretario di Stato americano, durante una concitata riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e preoccupato per i martellanti bombardamenti aerei dell’aviazione siriana e russa ha lanciato un’insolita proposta: «Per ridare credibilità a questo processo dobbiamo immediatamente tenere tutti gli aerei a terra nelle aree chiave». Aggiungendo: «Gli Stati Uniti credono ancora che ci sia una via per uscire dalla carneficina siriana».

Una sorta di no-fly zone umanitaria. Anche perchè i segnali di una potenziale escalation del conflitto non sono pochi. A cominciare dalla notizia di un presidio medico bombardato la notte di martedì a poco più di 24 ore dalla distruzione di un convoglio umanitario diretto ad Aleppo (non è chiaro se sia avvenuto dal cielo e chi lo abbia effettuato). Anche l’annuncio del ministro della Difesa russo, Serghej Shoigu, che ha comunicato come il Cremlino invierà presto la portaerei “Ammiraglio Kuznetsov” nel Mediterraneo orientale, ampliando così la sua già corposa flotta non prelude a nulla di buono. Come non è incoraggiante la notizia diffusa ieri dal New York Times, secondo cui la Casa Bianca sta valutando un piano per armare direttamente le milizie curdo-siriane dello Ypg per combattere l’Isis. Un’operazione a cui la Turchia è assolutamente contraria.

Kerry, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, anche il ministro russo degli Esteri, Serghej Lavrov, e molti capi di Stato, insomma tutti si augurano di appianare le divergenze e riavviare il cessate il fuoco. Kerry lo aveva detto martedì: «L’accordo di pace non è morto». Ma le premesse non sono favorevoli.

Il raid di ieri contro un presidio gestito dall’Ong siriana per il soccorso medico (Uossm) è avvenuto alle 23 di martedì. Poco più di 24 ore dopo la distruzione del convoglio umanitario diretto ad Aleppo. La dinamica è inquietante. Dopo un primo bombardamento aereo, ci sarebbe stato un altro bombardamento che ha travolto gli chi stava soccorrendo i feriti. Quattro operatori sanitari siriani sono stati uccisi. Nel raid sono stati uccisi anche nove ribelli, pare membri di Jaish al-Fatah, movimento qaedista che prima si chiamava Jabat al-Nusra. Gli attacchi hanno colpito la città di Khan Touman, nei dintorni di Aleppo, vicino dunque a Orum al-Kubrah,dove è stato attaccato il convoglio dell’Onu in cui sono morti 20 civili. Un massacro di cui gli Usa incolpano direttamente la Russia, pur ammettendo di non avere prove.

Tutti a parole vogliono la tregue. Anche l’ambasciatore siriano all’Onu Bashar al-Jaafari. Il quale ha spiegato che Damasco è pronta a riprendere i colloqui di pace con l’opposizione senza precondizioni. Ma Kerry non pare convinto. Ha esortato Mosca a costringe il regime siriano a tenere a terra l’aviazione. Puntando il dito contro Lavrov lo ha incalzato: «Come la gente può sedersi a un tavolo negoziale con un regime che bombarda gli ospedali e sgancia gas al cloro ancora, e ancora, e ancora e ancora, e agisce senza impunità?».

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