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Deficit al 2,7% (3,3% quest’anno, 4,8% nel 2012, anno dell’elezione di Hollande), debito al 96% (96,1%, 89,6%), spesa pubblica al 54,6% (rispetto al 55% del 2016 e al 56% del 2012) e pressione fiscale invariata al 44,5%, a fronte di una crescita – anch’essa identica all’anno in corso - prevista all’1,5% (+0,2% nel 2012). Sono questi i numeri chiave (peraltro noti ormai da tempo) che caratterizzano la Finanziaria 2017 varata ieri dal governo francese, l’ultima del mandato quinquennale del presidente François Hollande.
Nel presentarli, il ministro dell’Economia Michel Sapin, ha ribadito le accuse di «irresponsabilità» nei confronti dei leader della destra (destinata, salvo clamorose sorprese, a riprendere la guida del Paese l’anno prossimo) impegnati nella campagne delle primarie, che annunciano tutti un calo delle tasse e un aumento del deficit. Oltre a confermare il passaggio alla ritenuta alla fonte dal gennaio 2018 (riforma che la destra si è già impegnata a cancellare) e respingere al mittente le osservazioni dell’Alto consiglio della finanza pubblica (l’organismo indipendente incaricato di valutare la credibilità delle previsioni di budget), il quale ritiene «improbabile» l’obiettivo del 2,7% di deficit ed eccessivamente ottimistiche le stime di crescita.
L’intera architettura della Finanziaria si basa infatti su una previsione di aumento del Pil superiore alle stime di tutti gli organismi internazionali (l’Ocse immagina un +1,3% e il Fondo monetario un +1,2%). Che consentirebbe appunto a Parigi di tornare finalmente – dopo tre impegni disattesi - al di sotto della soglia del 3 per cento. Nonostante un incremento della spesa in valore dell’1,6% (è stato dell’1,4% quest’anno) e ai 14 miliardi di spese straordinarie (soprattutto per l’educazione, la sicurezza, il sostegno all’occupazione e gli alleggerimenti fiscali a famiglie e imprese) di cui peraltro il Governo assicura la copertura con tagli equivalenti.
Al riguardo, Sapin ha sottolineato che la crescita media annua in valore della spesa è stata del 3,6% nel periodo 2000-2012 e proprio dell’1,6% nell’ultimo quinquennio – quello dei socialisti al comando – grazie a risparmi per circa 46 miliardi (appena inferiori ai 50 promessi). Portandone appunto la quota sul Pil al 54,6% (55,9%, rispetto al 56,4% del 2016 e al 56,8% del 2012, al netto dei crediti d’imposta).
Ma la cifra che più attira l’attenzione, in questo budget che Sapin insiste nel definire «serio», è quella della pressione fiscale. Che rimane purtroppo invariata rispetto al 2016 e nettamente superiore a quella (43,8%) che Hollande si è ritrovato quattro anni e mezzo fa. Anche se c’è un leggero miglioramento rispetto al picco del 2013 e 2014 (44,8%), il governo non è riuscito ad annullare l’impatto degli aumenti delle tasse decisi all’inizio della legislatura. Abbinati alla crescita della disoccupazione (oltre 600mila persone in più senza lavoro dal 2012), spiegano ampiamente l’impopolarità del presidente.
E comunque i dati del bilancio 2017 rischiano seriamente di essere stravolti dall’esito delle presidenziali (e delle legislative che le seguiranno di un mese) del maggio prossimo. Com’è infatti quasi certo, a vincere sarà la destra. E tutti i candidati alle primarie prevedono nei loro programmi un vero shock fiscale all’inizio del loro mandato, con un taglio delle tasse compreso tra i 30 (Alain Juppé) e i 50 (François Fillon) miliardi, passando per i 42 di Nicolas Sarkozy. Che verrà compensato solo gradualmente, lungo il quinquennio, dai tagli alla spesa (tra gli 85 e i 100 miliardi). Questo significa che il target del 2,7% di deficit verrà spazzato via. Juppé prevede che la Francia potrà scendere sotto il 3% solo nel 2018 e Fillon parla addirittura di un deficit al 4,7% l’anno prossimo. Se le promesse elettorali dovessero davvero tradursi in fatti, si preannuncia un durissimo scontro con Bruxelles (e con Berlino).
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