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Salvataggi bancari non sempre in perdita

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Europa

Salvataggi bancari non sempre in perdita

La stagione, almeno in Europa (e in Canada), è chiusa. Salvataggi bancari pubblici non sono più permessi. La regola è il bail in: sono investitori e creditori privati - a parte i detentori di titoli garantiti - a dover rispondere per primi in caso di insolvenza bancaria.

Il motivo è semplice: il sistema finanziario deve evitare il moral hazard, l’opportunismo di manager e investitori – la “privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite” - e i rendimenti devono dare una valutazione il più possibile corretta del rischio dell’investimento. Sperare che un istituto sia “troppo grande per fallire” non è più possibile. Resta a volte il problema dell’informazione asimmetrica – chi è “dentro” sa più cose dell’investitore che è “fuori” – ma il nuovo sistema ha una logica lineare.

Al di fuori dell’Europa, ma anche nel recente passato del vecchio continente, le regole sono o erano diverse. La ristrutturazione e il salvataggio delle banche poteva seguire percorsi diversi. Molti istituti sono stati quindi salvati con denaro pubblico, in sostanza con le risorse versate dai contribuenti, e non sempre le cose sono andate male. Nel senso che i ricavi realizzati al momento della successiva privatizzazione della banca risanata (o degli assets acquistati) hanno superato gli esborsi della nazionalizzazione. La Svezia, con i salvataggi nel 91-92,ha disegnato il modello: lo Stato è intervenuto salvando gli obbligazionisti – ma non gli azionisti – anche se le valutazioni su ricavi e costi non sono univoche (nel caso “migliore” si stima un pareggio).

Le cose sono invece andate decisamente bene negli Usa, e non solo nel settore bancario in senso stretto. Un successo è stato il salvataggio di Fannie Mae e Freddie Mac, le due agenzie pubbliche di mutui. Fannie Mae ha ricevuto dal Tesoro Usa 116 miliardi di dollari e ha versato 142,5 miliardi di dollari di dividendi nel 2015; mentre la cugina ha ricevuto 71,3 miliardi e ha versato in tutto 99,1 miliardi.

Altrettanto fortunato è stato l’investimento pubblico da 10 miliardi di dollari compiuto nel 2008 dal Tesoro Usa nella Goldman Sachs: l’anno successivo la banca d’investimenti ha restituito la somma e ha pagato interessi per un rendimento del 23%. L’operazione segnalò però anche i problemi che possono nascere da queste operazioni: subito dopo aver ricevuto gli aiuti, la compagnia concesse a 953 manager premi per almeno un milione ciascuno. Solo il Ceo Lloyd Blankfein e sei suoi vice rinunciarono, dopo un’inchiesta di Andrew Cuomo, Attorney General di New York, sui bonus di nove banche beneficiarie di aiuti a diverso titolo.

Non diversamente sono andate le cose con la Aig: il Tesoro Usa ha investito un totale di 182 miliardi con un profitto pari a 22,7 miliardi. Anche in questo caso, però, la compagnia assicurativa pensò bene di riconoscere ai manager della divisione finanziaria premi per 165 milioni, che salivano a 1,2 miliardi per l’intera società.

Per il settore bancario, l’intero piano di salvataggio ha intanto avuto un utile di 29,9 miliardi. Citigroup ha in particolare beneficiato di 20 miliardi di investimento diretto, azioni poi vendute con un profitto di 12 miliardi. Il Tesoro Usa acquistò però dalla banca anche 306 miliardi di titoli tossici, con risultati non dichiarati. Nel complesso l’acquisto di assets problematici, il Tarp, ha però generato utili per 15 miliardi circa.

Meno chiaro l’esito dei salvataggi europei. Il Tesoro di Londra ha investito 20 miliardi di sterline per acquisire l’83% della Royal Bank of Scotland, e anche in questo caso l’azienda di credito ha ritenuto di concedere nel 2010 premi ai manager per quasi un miliardo di sterline (8 milioni all’amministratore delegato) in presenza di perdite per 1,1 miliardi. Altri 17 miliardi di sterline sono stati intanto investiti nella Lloyd Bank (nella quale ha acquisito una quota del 43,4%) e nella Hbos (40%), che hanno successivamente creato un unico gruppo.

Anche in Eurolandia i salvataggi sono stati numerosi. L’intero sistema bancario irlandese è collassato e ha richiesto 64 miliardi di euro per ricapitalizzazioni e nazionalizzazioni: il Paese ha dovuto richiedere l’assistenza dell’Fmi. Molto articolato anche il piano di ristrutturazione di Madrid che, secondo la Banca di Spagna, ha realizzato ricapitalizzazioni per 53,6 miliardi, «in varie forme». Ancora presto, in entrambi i casi, per parlare di profitti.

In Germania non sempre l’intervento si è realizzato con capitalizzazioni, ed è difficile valutare eventuali utili. La WestLb ha ceduto tra 2009 e 2012 209 miliardi di assets “problematici” alla bad bank pubblica, insieme a derivati per un volume di 1.064 miliardi di euro, poi parzialmente ridotti rispettivamente. Dal 2012, la bad bank è in attivo.Commerzbank ha intanto ricevuto nel 2009 16,2 miliardi di aiuti, ma la banca ha restituito 14,3 miliardi. La quota pubblica, dall’originario 25% è ora scesa intorno al 15%.Le ricapitalizzazioni pubbliche francesi hanno intanto raggiunto i 10,5 miliardi, destinati a sei banche tra le maggiori del paese.

Lineare, infine, il caso olandese. La Ing è stata ricapitalizzata dallo Stato per 10 miliardi, ma ha riacquistato tutti i titoli sottocritti, a un prezzo più alto: la seconda tranche, da due miliardi, è stata acquisita con un premio del 50%.

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