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Lo Zar Putin e il sapore della guerra fredda

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le nuove tensioni con gli usa

Lo Zar Putin e il sapore della guerra fredda

Nella foto il segretario di Stato statunitense John Kerry (a destra) con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov (Epa)
Nella foto il segretario di Stato statunitense John Kerry (a destra) con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov (Epa)

Ci si era chiesti, nei giorni scorsi, che utilizzo avrebbe voluto fare Vladimir Putin della nuova Duma uscita dalle elezioni del 18 settembre scorso, su cui il Cremlino ha ulteriormente rafforzato il controllo. E che forma prenderà il mandato (l’ultimo?) che lo Zar si appresta a conquistare nelle elezioni presidenziali in programma nel 2018 e che, secondo alcune voci, potrebbero essere anticipate all’anno prossimo. Le due decisioni prese ieri dal presidente russo - la sospensione dell’accordo sul plutonio seguita a una lista di condizioni dettate all’America - sono una prima risposta.

IL CREMLINO RAFFORZA IL CONTROLLO SULLA DUMA
Numero di seggi conquistati dai principali partiti nelle ultime 3 elezioni della Duma

Soltanto un mese fa, con John Kerry e Serghej Lavrov - i capi delle diplomazie di Russia e Stati Uniti - impegnati a fare le ore piccole a Ginevra per trovare un punto di contatto sulla Siria, sembrava lecito sperare che proprio la Siria potesse diventare l’appiglio per estendere un reset tra Mosca e Washington ad altri campi: considerando che ciò che più conta per la Russia è tornare a essere considerata una potenza alla pari degli Stati Uniti.

Se l’accordo di tregua raggiunto finalmente da Kerry e Lavrov avesse tenuto, si sarebbe potuti passare al punto successivo: un’azione militare congiunta di russi e americani contro lo Stato Islamico, qualcosa senza precedenti. Abbastanza forte da alimentare la speranza. Ma uno sviluppo che richiedeva un grado di fiducia troppo elevato.

La tregua ad Aleppo è durata poche ore. Qualcosa è andato storto alle spalle di Kerry e Lavrov. Nei giorni successivi, Mosca è tornata ad appoggiare Bashar Assad con rinnovato vigore, e ora i bombardamenti su Aleppo vengono paragonati alla furia, durante le guerre in Cecenia, con cui venne distrutta Grozny.

Ora Putin detta le condizioni del reset che vorrebbe imporre all’amministrazione Obama, presumibilmente cercando di avvantaggiarsi della debolezza di queste ultime settimane prima del voto per la Casa Bianca. Nella lista sono andate a finire tutte le recriminazioni accumulate da Mosca negli anni nei confronti degli Stati Uniti: dall’espansione della Nato ai Paesi dell’Est Europa, a quelle che il Cremlino considera interferenze inaccettabili nella politica ucraina. L’accordo per lo smantellamento degli arsenali di plutonio, ha detto ieri Lavrov, potrà essere ripreso solo se gli Stati Uniti accetteranno di «rimuovere completamente le cause degli squilibri politici, militari ed economici nel mondo».

Perfino un uomo come Kerry, ossessionato dall’idea di arrivare a una pace in Siria e legato da una vecchia amicizia a Lavrov, nei giorni scorsi confidava di vedere l’amico «in un universo parallelo». Quello in cui Putin ha avviato la sua campagna per riconfermarsi al Cremlino, consapevole che sono questi i toni - lo conferma il caso Crimea - che gli hanno regalato una popolarità superiore all’80% tra i russi. Ma al di fuori dal suo Paese, quelle parole hanno solo il sapore della guerra fredda.

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