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Produttività troppo bassa, questo il nodo da sciogliere

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Produttività troppo bassa, questo il nodo da sciogliere

  • –Riccardo Sorrentino

La produttività cresce poco. Nella lunga analisi della attuale fase di quasi stagnazione del Fondo monetario internazionale, questo sembra il punto cruciale, soprattutto per i Paesi avanzati. È questo fattore, sottovalutato, a spiegare peraltro perché le previsioni del recente passato sono state strutturalmente più ottimistiche e quindi le politiche economiche meno intense.

L’elemento che può stupire di più è il fatto che l’Fmi - e molti economisti - non sa perché la produttività cresca così poco. Le possibili spiegazioni sono tante. Tra queste la demografia: i lavoratori meno giovani sembrano essere meno produttivi, anche se più esperti, e i Paesi avanzati invecchiano sempre più. Sembra invece meno condivisibile l’idea che la tecnologia abbia esaurito la sua forza propulsiva.

In ogni caso, se questa è la causa della quasi stagnazione, la risposta non può essere la politica monetaria - gli investimenti rispondono poco all’andamento dei tassi - mentre la politica fiscale solo teoricamente sembra poter avere un ruolo. Gli investimenti pubblici prima di “andare a regime” non aumentano né la produttività né la capacità produttiva: sono spese. Senza contare che non si può immaginare per i manager pubblici una percentuale di successo superiore - anzi - a quella degli investitori privati. Le scelte pubbliche, insomma, possono essere sbagliate, e molto spesso lo sono.

Occorre intervenire sulla struttura dei mercati. Prima della crisi, e a maggior ragione dopo, sono aumentate le richieste di “protezione”: monopoli e oligopoli si sono moltiplicati, la concorrenza è scemata, la creazione di nuove imprese è rallentata persino nei dinamici Stati Uniti, la ricerca delle posizioni di rendita - il rent-seeking - è diventata spasmodica. La globalizzazione, attraverso la Wto, ha addirittura imposto ovunque regole molto stringenti sulla proprietà intellettuale, che non è altro che una (lunga) sospensione del libero commercio con l’obiettivo, dubbio, di incentivare l’innovazione. Ovunque si sono moltiplicati i requisiti per svolgere le attività più disparate, con esempi estremi negli Usa, dove (a New York) sono richieste più ore di pratica per fare l’estetista che per essere infermiere. Soprattutto, si sono dedicati tutti gli sforzi alle riforme del lavoro senza fare riforme dei mercati dei prodotti e dei servizi, creando una forte asimmetria negli interventi. La soluzione, come ha proposto Philippe Aghion dell’Università di Harvard, è allora proprio nel favorire la concorrenza, che - come lui stesso ha mostrato - in quasi tutti i settori genera crescita.

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