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Siria, De Mistura: «Aleppo può scomparire in due…

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appello dell’inviato onu per la siria

Siria, De Mistura: «Aleppo può scomparire in due mesi»

Un cimitero di Aleppo
Un cimitero di Aleppo

«In massimo due mesi, due mesi e mezzo, la città di Aleppo potrebbe essere totalmente distrutta. E migliaia di persone, non terroristi, saranno morte mentre festeggeremo il Natale». L’allarme lanciato ieri dall’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura, è forse il più drammatico tra i numerosi appelli fatti finora da tutti coloro che, invano, hanno cercato di riportare ai negoziati i due belligeranti.

Drammatico perché nelle parole dell’esperto diplomatico si legge un’amara constatazione: Aleppo sta per capitolare. E se le milizie dell’opposizione, asserragliate tra gli edifici in macerie, continueranno a resistere, a farne le spese saranno soprattutto i 275mila civili, tra cui 100mila bambini, ancora imprigionati nei quartieri orientali della città, roccaforte dei ribelli, e ormai sotto assedio da alcune settimane.

Non capita spesso che un inviato dell’Onu si rivolga a un feroce gruppo di ideologia qaedista, inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche di Usa e Russia, trattandolo come un interlocutore al pari degli altri. Eppure ha fatto così con le milizie del fronte Fatah al-Sham (l’ex Fronte Jabat al-Nusra). Ed è ancora più inusuale per un diplomatico di questo livello, esporsi a tal punto da mettere in gioco la propria incolumità fisica pur di raggiungere l’obiettivo di evitare una strage di civili. «Se decidete di andarvene - ha detto ai miliziani di Fatah al-Sham - in dignità e con le vostre armi a Idlib (regione controllata dai ribelli, ndr) o in qualunque altro luogo, sono personalmente pronto ad accompagnarvi. Non posso garantire di più della mia persona e del mio corpo». De Mistura non vuole che i 900 miliziani di Fatah al-Sham (gli altri hanno lasciato la città prima che l’assedio fosse completato mentre vi sarebbero ancora 8mila ribelli di altri gruppi) divengano un alibi per Damasco e Mosca per radere al suolo la città. Fatah al-Sham è stata esclusa dalla tregua. Mosca e Damasco si sentirebbero quindi legittimate a proseguire l’offensiva su Aleppo.

De Mistura continua a credere in una tregua, ma le premesse non sono affatto buone. Quanto accaduto nelle ultime settimane ha scoraggiato anche i più ottimisti. Perché quando Russia e Stati Uniti hanno annunciato il raggiungimento di un credibile cessate il fuoco, il 10 settembre, si sperava - o si voleva sperare - fosse davvero la volta buona. Se non per uno stop totale delle ostilità, almeno per consentire il transito dei convogli umanitari. Mai come in quell’occasione Russia e Stati Uniti erano apparsi così d’accordo su diversi punti. Ma la tregua era nata sotto il segno della fragilità ancora prima di entrare in vigore.

Il suo fallimento, dopo soli otto giorni, non è stato una sorpresa. Lo sono stati invece i successivi toni durissimi tra Washington e Mosca seguiti da scambi di accuse e minacce non troppo velate. Sentire il portavoce del ministero russo della Difesa, il generale Igor Konashenkov, minacciare ieri gli Usa di poter utilizzare i sistemi missilistici S-400 se gli aerei della coalizione internazionale dovessero bombardare le posizioni delle truppe siriane, non fa ben sperare. Una volta caduta la tregua, il 22 settembre, le tragiche conseguenze si sono fatte sentire subito. Una serie di bombardamenti a tappeto sui quartieri orientali di Aleppo, anche con bombe incendiarie al fosforo, ha ucciso hanno in 48 ore più di 300 civili.

Forte dell’appoggio dell’aviazione russa, ma anche dell’invio di migliaia di miliziani sciiti iracheni, oltre che dei pasdaran iraniani e degli Hezbollah libanesi, il regime sta sferrando con successo una grande offensiva di terra. Ha conquistato metà del quartiere di Bustan al-Basha, spingendosi fino alla cittadella. È un’avanzata senza precedenti dopo la riconquista nel 2013 di alcuni settori di Aleppo da parte dei ribelli.

«Niente può giustificare un tale diluvio di fuoco e di morte», ha avvertito il ministro francese degli Esteri, Jean-Marc Ayrault,dopo aver incontrato a Mosca l’omologo Serghej Lavrov, ricordando che «nessuno può sopportare questa situazione». Eppure in questo clima di grande sfiducia due uomini, Lavrov e il segretario di Stato Usa, John Kerry, che da mesi lavorano al raggiungimento di una tregua, credono ancora in una soluzione pacifica. «Ieri ho parlato con Kerry. Condividiamo il parere che gli sforzi vanno continuati, e abbiamo un obiettivo comune: la soluzione pacifica», ha detto Lavrov. «C’è solo una cosa - ha concluso de Mistura -che non siamo pronti a fare: ed è restare passivi, rassegnarci a un’altra Srebrenica, a un altro Rwanda».

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