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I repubblicani cercano di contenere i danni

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LO SCENARIO

I repubblicani cercano di contenere i danni

Mike Pence (Ap)
Mike Pence (Ap)

Nel Congresso, sotto una pioggia battente, la domanda ricorrente fra i repubblicani ieri a Washington era una soltanto: farà un passo indietro? Possibile che in Trump prevalga davvero la responsabilità di non travolgere con se stesso e con i recenti scandali sessuali l’intero partito? «Era una donna sposata, ci ho provato...» dice a un certo punto Trump in uno dei passaggi della registrazione scandalo del 2005, quando è già sposato con Melania.

A parte il danno gravissimo per lo stesso Trump, l’audio di venerdi notte è in effetti devastante per l’immagine di un partito che include una buona parte di cristiani evangelici e da conservatori sociali. A 30 giorni dalle elezioni e prima dell’impatto del video, Hillary era già in vantaggio con il 47,5% nei sondaggi contro il 42,9% di Trump. Ma adesso il problema per il partito repubblicano, dopo il video e dopo il fallimento del primo dibattito presidenziale è quello di contenere i danni. Archiviata a questo punto, a meno di un miracolo, la vittoria alle presidenziali, resta l’effetto del traino negativo con una possibile perdita della maggioranza in Senato e chissà, forse anche alla Camera. Se i margini alla Camera sono più rassicuranti per i repubblicani, in Senato, con un vantaggio di 54 a 46, basterebbe uno spostamente di cinque seggi per invertire gli equilibri. E in queste elezioni del 2016 dei 34 seggi in palio, 24 sono repubblicani e solo 10 democratici, di cui 9 sicuri. L’impresa non è impossibile, Trump non aiuterà, e le probabilità di riconquista democratica del Senato sono del 54%.

Per questo fra ieri e oggi la domanda di fondo tornava a essere quella sul passo indietro. Se Trump dovesse scegliersi di ritirarsi, il partito sceglierà il suo compagno di corsa Mike Pence, che ha fatto molto bene nel dibattito vicepresidenziale, un conservatore, per cominciare, ma anche un uomo che ha dato prova di self control e intelligenza.

Ma Trump resta anche lo lo specchio di una crisi di un partito controllato da minoranze estremiste, che aveva comunque scelto come numero due Ted Cruz, senatore di destra del Texas nel quale l’opinione pubblica americana centrista e la leadership del partito si identifica ancora meno che in Trump.

Ecco perché, dopo il video scandalo, da ogni parte i notabili del partito hanno preso le distanze da Trump: con Pence almeno si tornerebbe alla tradizione.

Il primo, durissimo, é stato Paul Ryan, presidente della Camera che ha disinvitato Trump da un’apparizione congiunta in Wisconsin, stato di Ryan e uno degli stati fragili per il Senato: «A Donald Trump è stato semplicemente ritirato l’invito» ha detto Ryan. Lo stesso vale per molti altri governatori, deputati e senatori: Martha Roby e Bradley Byrne dell’Alabama hanno ritirato ieri l’appoggio a Trump, così pure il governatore Gary Herbert e il deputato Jason Chaffetz dello Utah hanno ritirato il loro appoggio. Lo stesso è successo in New Hampshire e persino in West Virginia, dove Trump ha un forte vantaggio su Hillary. Il senatore Mike Lee, e l’ex governatore ed ex candidato presidenziale John Huntsman anch’essi dello Utah, ma anche Carly Fiorina e altri hanno invece chiesto che Trump si ritiri.

Trump ha provato a chiedere scusa, ma per ora non ha funzionato. Anche per lui, a cui veniva perdonato tutto il limite è stato di nuovo superato. Al punto che lo stesso Pence, governatore dell’Indiana e compagno di corsa di Trump, ieri ha cancellato un’apparizione elettorale dicendo che le parole del suo compagno di corsa per la Casa Bianca sono indifendibili. Ecco dunque il perché della domanda ricorrente ieri a Washington: farà un passo indietro? Se Trump lo facesse sarebbe l’ennesima rivoluzione di questa corsa elettorale. Ma ci sono problemi tecnici, il voto per procura e via Internet in alcuni stati è già partito. Il partito potrebbe comunque nominare Pence in caso di ritiro. Ma Trump non farà marcia indietro. Non è nel suo carattere come ha detto al Wall Street Journal. Per lui la sconfitta elettorale è meglio della vergogna di un ritiro fra lo scandalo e gli sberleffi. In perfetta coerenza con la diagnosi che lo affligge che facemmo su queste pagine: quella di narcisismo psicologico. Di certo da ieri l’America, con l’evidenza del video si rende conto che un voto contro Trump sarà anche un voto per scampare un pericolo.