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Trump-Clinton: scontro pugilistico nel secondo round all’ombra degli scandali

NEW YORK - Un gladiatore in gabbia, ferito e furente, contro un moschettiere che cercava soprattutto di rimanere composta. Il secondo dibattito presidenziale tra Donald Trump e Hillary Clinton può essere descritto così. Un Trump che menava fendenti in ogni direzione, in agitazione continua. Tra i colpi, qualche pesante scivolone: ha riconosciuto di non aver pagato le tasse per anni dichiarando una perdita di quasi un miliardo di dollari. E di aver trasformato la posizione sul divieto all'immigrazione islamica in “controlli estremi”. Ha infine fatto esplodere un disaccordo aperto con il suo vice Mike Pence sulla crisi in Siria: niente ultimatum alla Russia per le sue aggressioni.

Trump, insomma, ha scatenato un'ultima, dura offensiva, per accusare l'avversaria democratica di avere «pessima capacità di giudizio» che la squalifica dalla presidenza. Hillary ha risposto lasciando cadere nel vuoto opportunità di contrattaccare, giocando di rimessa e a volte in difesa. L'esito immediato è incerto: qualche commentatore ha dato la vittoria a Trump in un match pugilistico. Altri hanno invece sottolineato che ha riversato una valanga di affermazioni controverse e a volte prive di senso, come quando ha criticato il comportamento dei vertici delle forze armate americane in Iraq o affermato che l'arsenale nucleare statunitense è inadeguato. Il suo “body language”, il suo continuo movimento sul palco, è inoltre sempre parso minaccioso e rabbioso. Un sondaggio di Cnn a caldo sembra dare credito a questa valutazione equilibrata: una maggioranza, 57% a 37%, dà la vittoria a Clinton ma ritiene (63%) che Trump sia riuscito a fare meglio del previsto.

Nel mezzo è successo di tutto per oltre un'ora e mezza alla town hall della Washington University di St. Louis in Missouri. Trump ha aperto gli assalti fin dall’inizio quando, in risposta al moderatore che gli aveva chiesto conto delle registrazini sui suoi commenti sessisti e violenti sulle donne, ha affermato che Bill Clinton ha violentato e abusato donne (aveva invitato tre grandi accusatrici dell’ex presidente nell’audience) e che Hillary Clinton le ha intimidite. Ha detto che Clinton dovrebbe essere in carcere per la distruzione di e-mail e che se lui diventasse presidente lei sarebbe in prigione. Ha aggiunto che Clinton ha «il cuore pieno d'odio». Hillary Clinton ha negato e risposto che Trump «non è assolutamente adatto» a fare il presidente per carattere e impreparazione. E che è incapace di assumersi qualunque responsabilità: «Non nei confronti della famiglia Khan, con un figlio eroe di guerra che ha denigrato, non del giudice federale ispanico denunciato per questo come parziale, non di un giornalista portatore di handicap sul quale ha ironizzato, non del presidente Obama contro il quale ha mosso l'accusa razzista di non essere nato in America».

L'unico momento di tregua, paradossalmente, è arrivato con la risposta all'ultima domanda di un dibattito che a molti nei media americani è parso soprattutto deprimente per il bassissimo livello di contenuti della battaglia: che cosa ammirano l'uno nell'altra. Hillary ha detto i figli di Trump. Trump ha citato il carattere da combattente di Hillary. Troppo poco per salvare uno dei più tristi spettacoli mai offerti dalla politica americana.

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