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Mosca e Ankara, pace in nome del gas

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Europa

Mosca e Ankara, pace in nome del gas

  • –Antonella Scott

Il disgelo, reso possibile dalle scuse del presidente turco alla Russia, era iniziato il 9 agosto, quando Vladimir Putin e Recep Tayyep Erdogan si erano incontrati a San Pietroburgo tornando a chiamarsi «caro amico», e assicurando che l’asse tra i due Paesi, messo seriamente in pericolo dall’abbattimento di un caccia russo per mano delle forze aeree turche in novembre, sarebbe stato ricostituito. È quanto è avvenuto ieri: un riavvicinamento suggellato nel nome degli interessi energetici. Insieme a Istanbul, Putin ed Erdogan hanno presenziato alla firma dell’accordo che “resuscita” Turkish Stream, il gasdotto rivolto ai mercati europei che sulle prime aveva preso il posto di South Stream respinto da Bruxelles, ma era rimasto congelato dalla crisi tra Mosca e Ankara.

L’accordo, ha dichiarato in Turchia Aleksej Miller, il capo di Gazprom, prevede la costruzione di due linee principali sul fondo del Mar Nero, prevista entro il dicembre 2019. Costo previsto, 11,4 miliardi di euro: 910 km il tratto sottomarino, 180 quello in territorio turco, teoricamente in direzione Europa.

La normalizzazione tra Russia e Turchia passa anche dallo smantellamento delle barriere all’import di prodotti agroalimentari turchi in Russia, e la creazione di un fondo di investimento comune da un miliardo di dollari. Accelerazione prevista anche per i progetti nucleari tra i due Paesi, con la russa Rosatom impegnata a costruire una centrale in Turchia, ad Akkuyu: recupereremo il tempo perduto, ha detto Erdogan.

I due leader ritrovati hanno discusso anche del tema più spinoso, la Siria, che li vede schierati su fronti opposti: a sostegno di Bashar Assad il presidente russo, alleato delle milizie all’opposizione e a fianco degli Stati Uniti il presidente turco. Avrebbero concordato un’intensificazione dei contatti militari e questo avvicinamento, paradossalmente, avviene proprio nel momento in cui precipitano in una spirale dall’esito imprevedibile i rapporti tra gli Stati Uniti e una Russia sempre più coinvolta militarmente nello scenario siriano: l’ultima mossa, lunedì, è stata l’annuncio che la base navale di Tartus, unico porto russo sul Mediterraneo, diventerà permanente.

Ma l’incontro di Istanbul è solo l’ultima dimostrazione del gioco a tutto campo del Cremlino, disponibile a trovare un punto di incontro con chiunque - da Israele ai sauditi,da Assad a Erdogan - entro il perimetro delineato dall’interesse nazionale. E in Siria, al di là della frontiera turca, Mosca affonda ancor più le radici dopo il fallimento della tregua su Aleppo che, se avesse avuto successo, avrebbe potuto vedere russi e americani intervenire insieme contro lo Stato Islamico. A Tartus, base ereditata dall’Unione Sovietica nella Siria occidentale, il viceministro della Difesa Nikolaj Pankov ha annunciato lavori di ampliamento e rafforzamento delle infrastrutture in modo da poter assistere un maggior numero di navi nel Mediterraneo. Nella base ora i russi hanno schierato sistemi missilistici terra-aria S-300, a difesa anche della vicina base aerea - già permanente - di Hmeymim, presso Latakia.

Sviluppi destinati ad alimentare le tensioni con gli Stati Uniti: in caduta libera dal fallimento della tregua per Aleppo. Da allora, Putin ha sospeso il trattato stretto con Washington per lo smantellamento delle scorte di plutonio utilizzabile nelle armi nucleari. Poi la Duma di Mosca ha ratificato il trattato che rende permanente la presenza delle truppe russe in Siria, mentre il governo americano ha formalizzato l’accusa che sia russa l’impronta sullo spionaggio informatico ai danni del Partito democratico, con l’obiettivo di interferire nella campagna elettorale americana. Nel week-end Serghej Lavrov, ministro degli Esteri russo, ha parlato di «sicurezza nazionale della Russia» minacciata dalle «mosse aggressive» degli Stati Uniti, mentre la Nato denunciava il ritorno a Kaliningrad dei sistemi missilistici Iskander-M. A ogni mossa ormai segue una reazione, che alza sempre più il tono del confronto e alimenta la sfiducia reciproca.

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