Dopo qualche ora a scervellarsi sul significato delle ultime «minute» del Fomc, gli esegeti della Fed hanno concluso che il messaggio lanciato da Janet Yellen e soci sull’immediato futuro dei tassi d’interesse è stato moderatamente dovish: ossia delicato, prudente, insomma, amichevole per i mercati. Il rendimento del Treasury a 2 anni, più sensibile alla politica monetaria, è calato di 3-4 centesimi, quello del decennale un po’ di più e il future sui Fed fund di dicembre è leggermente salito a segnalare, con un rendimento implicito di neanche 50 centesimi, che le probabilità di un ritocco dei tassi per fine anno superano a mala pena il 50%. Se la Fed alzerà il tasso d’interesse nella riunione del 14 dicembre, resta questione perfettamente aperta per i mercati e del tutto ipotetica anche per i membri della banca centrale americana.
Così par di capire da una più attenta lettura delle minute del Fomc dello scorso 21 settembre. Innanzi tutto, quel resoconto contiene una significativa novità e proprio nell’incipit, dove si fa notare un incremento della volatilità nelle due settimane che avevano preceduto l’incontro: cosa che, aggiunta all’importanza di una più «chiara comunicazione al pubblico delle condizioni che giustificherebbero un aumento dei tassi», come hanno osservato «alcuni» membri del Fomc, suggerirebbe la necessità di lanciare messaggi più indicativi ai mercati, onde evitare un pericoloso effetto sorpresa.
Se le minute confermano che quasi tutti i membri della Fed concordano sul fatto che le condizioni di un rialzo dei tassi si «sono rafforzate nei mesi recenti», lasciano tuttavia nel vago i tempi della prossima stretta. Tuttavia, par di capire che i più restino prudenti, perché «molti» (tra i partecipanti) hanno osservato una certa «fiacca» nel recente andamento del mercato del lavoro, unita all’evidenza che l’inflazione «continua a muoversi sotto gli obiettivi fissati» e continuerà probabilmente a farlo anche nei prossimi mesi. Di contro, «qualche altro» crede invece che il doppio mandato della Fed sia stato raggiunto e che procrastinare ulteriormente la stretta comporti forti rischi e persino una perdita di credibilità. La contrapposizione tra l’estrema prudenza di alcuni membri (some) e la determinazione ad alzare i tassi di «pochi altri» o di «qualche altro» (few other) lascia intendere una netta preponderanza delle “colombe” sui “falchi”. Lo stesso vale per l’aumento dei prezzi al consumo, giudicato non preoccupante dai «molti» (many), ma considerato prossimo all’obiettivo solo da «due» membri della Fed.
La conclusione è che le probabilità di un rialzo dei tassi a dicembre dipendono da due condizioni: aumento dell’inflazione e continua crescita dell’occupazione. La prima cosa non si vedrà per lunghi mesi ancora e una immediata verifica l’avremo con il dato (Cpi) di martedì prossimo; la seconda rischia di essere in forse, poiché la crescita dei nuovi assunti si sta sensibilmente riducendo. Al riguardo, sarà cruciale il dato sui payrolls di ottobre atteso all’inizio del prossimo mese. Ma, nel frattempo, una preziosa indicazione ci arriva da Moody’s: osserva l’agenzia che negli ultimi 30 anni la Fed non ha mai alzato i tassi quando l’indice della Federal Reserve sulle condizioni del lavoro (Lmci) o, meglio, quando la sua media mobile a 6 mesi era negativa. Ora, questa media mobile è scesa da +0,55 del marzo 2016 a -1,68 di settembre. A dicembre 2015, allorché la Fed portò per la prima volta il tasso d’interesse a 0,25-0,50%, l’indicatore segnava +2,2.
Questa osservazione, unita all’evidenza di un rallentamento della crescita economica (la Fed di Atlanta calcola adesso al 2,1% la crescita del Pil nel 3° trimestre, contro il 3% di un mese fa) e alla sensazione che il ciclo economico sia piuttosto maturo, fa pensare che la banca centrale americana userà tutta la sua proverbiale prudenza prima di azzardare un’altra stretta monetaria. Così par di capire anche dalle parole di William Dudley, l’influente presidente della Fed di New York. Senza contare l’evenienza di altri fattori d’inquietudine: nella fattispecie le ricorrenti preoccupazioni sulla situazione cinese che già ieri avevano turbato le borse.
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