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Personalità con tratti psicopatici: chi vince tra Hitler, Trump e…

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STUDIO OXFORD UNIVERSITY

Personalità con tratti psicopatici: chi vince tra Hitler, Trump e Nerone?

Un’immagine tratta dal film «Quo Vadis » del 1951 (Afp)
Un’immagine tratta dal film «Quo Vadis » del 1951 (Afp)

Aveva più tratti psicopatici Saddam Hussein, Napoleone Bonaparte, George Washington o Margareth Thatcher? Più Abraham Lincoln, San Paolo o Gandhi? Ma soprattutto: quale psicologo non vorrebbe condurre questo storico (è il caso di dirlo) test sui grandi del passato?

L’idea è venuta a un gruppo di ricercatori dell’università di Oxford, che hanno pensato di sottoporre vari personaggi storici a un test psicometrico standard, lo Psychopathic Personality Inventory – Revised (PPI-R). Ovviamente, essendo i big in questione scomparsi da tempo, a sottoporsi alle 56 domande della prova soto stati biografi esperti dei rispettivi personaggi. E i risultati sono stati pubblicati dal “Journal Scientific American Mind”.

Va premesso che questo test non serve a capire se qualcuno è psicopatico: si limita ad analizzare otto tratti della personalità che contribuiscono a definire un carattere tendente alla psicopatia, assegnando un punteggio complessivo. Più in dettaglio, il test misura il coraggio, la freddezza, l’egocentrismo, la spietatezza, la fiducia in se stessi, il carisma, la disonestà, e la mancanza di empatia o di coscienza.

Come spiega Kevin Dutton, il capo del team che ha condotto la ricerca, «alcuni di questi tratti possono essere positivi, per esempio il coraggio o la resistenza allo stess, mentre altri sono probabilmente negativi, come l’esternalizzazione delle colpe o il disinteresse verso il futuro». Altri ancora, come la freddezza, possono far parte del Dna di un ottimo leader così come di uno pessimo.

Tutti i grandi della Storia avevano tratti psicopatici, sottolinea Dutton, ma è il mix di questi “ingredienti” che fa la differenza tra un Lincoln e un Hitler. «Per esempio, una personalità dotata di carisma, coraggio e freddezza sulla carta è positiva, ma se la incrociamo con un’attitudine a incolpare gli altri ecco che sfocia nella demagogia».

Ma andiamo ai risultati, aggiungendo che il team di Oxford si è divertito ad aggiungere ai grandi del passato i due candidati alla presidenza americana, Hillary Clinton e Donald Trump, i quali si sono rifiutati di sottoporsi al test venendo sostituiti dai rispettivi biografi come negli altri casi.

Allora: in base al punteggio complessivo, a vincere la medaglia d’oro di questa psicopatica classifica è Saddam Hussein, che svetta incontrastato a 189 punti. Seguono in seconda e terza posizione, molto ravvicinati, Enrico VIII (178 punti) e Idi Amin (176). In quarta posizione si piazza a sorpresa Donald Trump (171 punti), che batte di misura sia Adolf Hitler (169) che Guglielmo il Conquistatore (165 punti).

Più a distanza troviamo grandi personaggi meno controversi: Gesù e San Paolo a pari merito (157 punti ciascuno) che superano di poco Winston Churchill (155) e Napoleone Bonaparte (153). Quindi, a un’incollatura dal generale corso, Hillary Clinton (152) che batte in volata Nerone (151).

Distaccati verso il fondo della classifica ecco fianco a fianco Oliver Cromwell e Margaret Thatcher (136 punti ciascuno), poi George Washington (132), Elisabetta I (130) e - nelle ultime due posizioni, Abraham Lincoln (123 punti) e il Mahatma Gandhi (119).

Il punteggio complessivo però non rende onore ai differenti mix tra gli otto indicatori. Analizzando i risultati più in profondità scopriamo per esempio che Trump ha battuto Hitler in coraggio e influenza sociale, ma non in egocentrismo e freddezza, dove è il dittatore nazista ad avere il maggior punteggio. E Hillary? Ha superato Nerone in «egocentrismo machiavellico» ma è stata superata da Donald in «coraggio dominante», l’area che secondo lo studio si associa alle presidenze di successo.

Morale: per la Casa Bianca, chi è meno peggio dei due in base al mix di “tratti psicopatici”? Se lo chiedete al capo dei ricercatori di Oxford, non caverete un ragno da un buco. «Lasciamo che siano gli elettori americani a dircelo», strizza l’occhio il professor Dutton, prima di filarsela all’inglese.

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