londra
Dire Marmite da questa parti è come dire Nutella dalle nostre, senza naturalmente paragonare l’imparagonabile qualità dei due prodotti. È un simbolo della britishness - nonostante la disputa con gli australiani che rivendicano prodotti analoghi - ad altissimo tasso di popolarità che Tesco, terza catena di supermercati al mondo, ha minacciato di sacrificare in nome della Brexit. È solo uno delle decine di prodotti al centro della disputa che ha opposto per un’intera giornata - fino alla risoluzione di ieri sera – Tesco a Unilever, colosso planetario che di Marmite, del te Pg Tips, del gelato Ben & Jerry è proprietario.
La querelle è esplosa quando il gruppo retail ha annunciato di voler togliere dal suo sito web i prodotti per i quali Unilever chiedeva un aumento, medio, di circa il 10 per cento. Richiesta irricevibile per Tesco, deciso a farsi paladino del benessere nazionale sotto schiaffo da parte di chi importa nel Regno Unito e quindi “paga” la svalutazione del pound. Le due società hanno evitato di elaborare troppo, ma Unilver, prima di comunicare che l’incidente era stato felicemente risolto con un probabile compromesso, aveva fatto sapere che un aumento delle materie prime aveva contribuito alla decisione, anche se il peso maggiore dell’aumento di prezzo andava imputato alla dinamica del pound. Dal 23 giugno, giorno del referendum di adesione all’Ue la divisa britannica ha perduto il 19% sul dollaro, una caduta che non è affatto prossima alla fine. Graeme Pitkethly, chief financial officer di Unilever, ha sostenuto che la correzione dei prezzi è la risposta normale alla svalutazione precisando che «l’aumento è molto inferiore» a quanto sarebbe necessario per neutralizzare il crollo del pound. «Siamo fiduciosi che la vicenda si risolverà presto» aveva chiosato nel pomeriggio il cfo della multinazionale anticipando una pace maturata nelle ore successive. Eppure il caso non è destinato a finire qui. Altri tre giganti della distribuzione nel Regno Unito – Sainsbury’s, Asda e Morrisons – sono stati invitati da Unilever ad aumentare i prezzi e due almeno si sono riservati di rispondere.
La MarmiteWar, come è stato ribattezzato per un giorno almeno lo scontro commerciale, è divenuto il cavallo di battaglia dei brexiters duri e puri che denunciano il “ricatto” di Unilever. Per converso, Tesco, inietta nel suo corpo appesantito dosi di popolarità quantomai necessarie. È divenuto il campione, in odore di autarchia, della resistenza nazionale alla stretta che Brexit minaccia di portare con sé.
Esercizio di Pr molto utile per un gruppo che nel 2014 è stato al centro di uno scandalo per aver truccato i profitti e spinto eccessivamente sui fornitori per ottenere riduzioni di prezzo. Lo scontro ha assunto anche caratteri personalistici perché a guidare le truppe di Tesco c’è Dave Lewis ex top manager di Unilever, un insider, dunque, che sa come gestire l’ex datore di lavoro.
Il caso ha suscitato polemiche anche perché Marmite è largamente prodotta nel Regno Unito e quindi l’incidenza della svalutazione della sterlina è, in teoria, relativa. Non si può dire lo stesso per altri brand bloccati brevemente dalla disputa, prologo di quanto presto accadrà su più ampia scala. «Mentre i politici possono negare la realtà –ha commentato l’analista Bruno Monteyne di Bernestein - uno shampoo prodotto sul continente oggi costa il 17% più di prima. Non riguarda Tesco e Unilever, ma la relazione fra distribuzione e fornitura in tutto il Paese».
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